Funerali di stato per il principe della rumba congolese
Tabu Ley La voce delle Indipendenze che ha fatto ballare l’Africa. Lascia tremila canzoni e una sessantina di figli. «Rochereau», come era soprannominato, nel dopo-Mobutu si era dedicato alla politica. Per Madiba compose una canzone
Tabu Ley La voce delle Indipendenze che ha fatto ballare l’Africa. Lascia tremila canzoni e una sessantina di figli. «Rochereau», come era soprannominato, nel dopo-Mobutu si era dedicato alla politica. Per Madiba compose una canzone
Negli stessi giorni in cui Mandela veniva “lasciato andare”, un altro lutto aggiornava implacabile il panorama africano dei personaggi storici ancora (miti) viventi. Il 30 novembre è morto infatti in ospedale a Bruxelles il cantante e compositore congolese Tabu Ley. «principe della rumba», divo del soukous e infine protagonista, nell’era post-Mobutu, della tormentata scena politica di Kinshasa. Quella musicale aveva cominciato a calcarla giovanissimo, quando la capitale si chiamava ancora Leopoldville e il Congo era “belga”.
Quasi nessuno si è accorto di Sisi Mandela, il suo modesto contributo alla playlist che ha raccontato in musica chi era e dove stava Nelson Mandela. Cantavano M’Bilia Bel e Faya Tess, rivali di palco e di cuore che solo nel nome di Madiba e per amor suo, di Tabu Ley, trovarono pace. Ma la sua grandezza deriva da tutt’altro. C’è qualcosa di speciale, un’esattezza, una luce, il nitore ribaldo della voce, che si può apprezzare fin dai tempi di Indépendance Cha Cha, con gli African Jazz di Joseph Kabasele, nel brano che con gran brio afrocubano accompagnò alla porta il potere coloniale.
Da lì Tabu Ley ha attraversato con qualche scintilla il regno di Mobutu Sese Seko (Trop C’est Trop!, acuto d’indignazione, è censurato dal regime nel 1990) e di ritorno dall’esilio lavora nel governo di Laurent Kabila, poi entra nel parlamento transitorio sotto Kabila figlio, e con gli accordi di pace seguiti alla “seconda guerra del Congo”, vice-governatore a Kinshasa per conto del Rassemblement Congolais pour la Démocratie (Rcd). È il partito nato come milizia pro-Ruanda e anti-Kabila, attore di prima fila nel conflitto che ha insanguinato a più riprese l’est del Paese. Tabu Ley è tra i fondatori, ma anche qui, anche volendolo giudicare male, al fianco dei banyamulenge e quindi complice dei crimini contro le popolazioni civili addebitati a questi ultimi, di lui è difficile parlare se non innanzitutto come di un propulsore della musica migliore che l’Africa abbia prodotto a cavallo delle Indipendenze. Sontuosi impasti vocali, chitarre gorgheggianti, riambientazioni spiazzanti dei ritmi e delle voghe afrolatine, il modello cubano declinato in lingala, la rumba congolais e il soukous, musiche che hanno dispensato eleganza, euforia e ottimi motivi per ballare a tutta l’Africa. Con un controllo integrato, una volta tanto, sull’intero processo creativo e produttivo, dalle attrezzature per registrare all’uso della radiofonia per diffondere. Spregiudicato e leggero nell’appropriarsi tra i ’60 e i ’70 del twist and shout planetario, primo africano a sbancare l’Olympia con le sue Rochettes, sfidava sorridente e intonatissimo Claude François et ses Claudettes.
Tabu Ley, ovvero Pascal-Emmanuel Sinamoyi Tabu, che aveva (forse) 73 anni ed era chiamato “Rochereau” dai tempi di scuola, fissato com’era per il generale francese Denfert-Rochereau. Dunque Tabu Ley, Le Seigneur Rochereau. Con un canzoniere fatto di 2-3 mila pezzi, la definizione di «autore prolifico» di cui abbondano le biografie ci sta tutta, ma è anche difficile non sorriderne pensando al numero esagerato di figli che Tabu Ley si è lasciato dietro: 49 quelli riconosciuti, sarebbero in realtà una sessantina o addirittura 80, favoleggiano certe stime. Più che un atto di successione ci sarà un’assemblea. Nell’attesa Youssoupha fa il rapper a Parigi e al padre ha dedicato qualcosa di eloquente con Les Disques de mon Père, «i dischi di mio padre», un lavoro intriso di orgoglio e profumo di vecchi vinili. Anche Péguy Tabu canta e spesso si avventura spavaldo nel repertorio paterno. E c’erano anche molti giovani, lunedì scorso, davanti al parlamento di Kinshasa, che avevano marinato la scuola per non perdersi i funerali di stato.
Forse che la Repubblica democratica del Congo eternamente lacerata vorrebbe sdebitarsi all’unisono con lui? Per ora Tabu Ley avrà la sua avenue nella capitale (ne fa le spese il vecchio presidente del Chad, Ngarta Tombalbaye, a cui la strada è attualmente intitolata). Arteria centrale, che a un certo punto incrocia inevitabilmente, nella storia e nella toponomastica, l’Avenue Luambo Makiadi che è intitolata all’unico altro gigante della rumba congolese, Franco, l’eterno rivale. Invece Koffi Olomide, uno degli eredi più autorevoli e appariscenti di tutti e due, nella sua orazione funebre ha chiesto al governo di istituire la «Festa nazionale della rumba» nel giorno in cui Tabu Ley è morto, forse perché la data di nascita resta un terno al lotto. E ha aggiunto, che «lassù Mozart e Beethoven da oggi avranno una certa concorrenza…».
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