Fumata nera sul caso Wärtsilä: la multinazionale alza la posta, tutto da rifare
La vertenza Dopo l’accordo in sede locale, nella riunione istituzionale saltano i patti. Ma il governo mantiene bassi i toni. Se ne riparla il 9 gennaio, con il contratto di solidarietà già scaduto
La vertenza Dopo l’accordo in sede locale, nella riunione istituzionale saltano i patti. Ma il governo mantiene bassi i toni. Se ne riparla il 9 gennaio, con il contratto di solidarietà già scaduto
«Roba da non credere», la voce di Marco Relli, segretario della Fiom triestina, è rabbiosa: «Un continuo rilancio di richieste sulla pelle di centinaia di famiglie». Mercoledì scorso Cgil, Cisl e Uil territoriali avevano incontrato i vertici di Wärtsilä e trovato un preaccordo per prorogare di sei mesi gli ammortizzatori sociali in cambio di un risparmio su alcuni costi salariali.
L’appuntamento fissato dal Mimit giovedì era stato dunque affrontato pensando a una pura ratifica che permettesse di avviare, finalmente, un accordo di programma. Invece è tutto da rifare: l’accordo raggiunto in sede locale è stato rinnegato da Wärtsilä nella decisiva riunione istituzionale. La multinazionale ha legato la propria disponibilità alla proroga concordata a Trieste solo in cambio di nuove, inaspettate e inaccettabili, contropartite.
Spiazzati tutti gli altri interlocutori: si dichiara contrariata anche la Regione che stila una nota a firma dell’assessora Alessia Rosolen: «L’azienda ha messo sul tavolo ulteriori questioni che hanno suscitato perplessità, se non altro per il metodo, sia tra le istituzioni che tra i rappresentanti dei lavoratori». Presente il governo con la sottosegretaria Fausta Bergamotto che non riesce a dirimere la questione e rinvia tutto al 9 gennaio, a contratto di solidarietà scaduto, ma con la promessa che l’accordo, se ci sarà, avrà valore retroattivo.
Michele Cafagna, managing director di Wärtsilä Italia, le chiama «richieste accessorie» ma è una frana che travolge il tavolo. Wärtsilä vuole portar via macchinari e attrezzature e chiede un bypass temporale in caso di apertura della procedura di licenziamento, ovvero la libertà di licenziare saltando ogni consultazione se l’accordo di programma con Ansaldo Energia (ancora indefinito) non si concludesse entro i termini stabiliti. In deroga alla legge e magari con il retropensiero di impedire ricorsi. «Wärtsilä pretende di andarsene a costo zero – dice Sasha Colautti, responsabile industria di Usb – La riunione al tavolo istituzionale ci ha lasciati sbalorditi. È evidente che alla multinazionale finlandese non interessa né la reindustrializzazione né la riuscita dell’accordo di programma».
Sul tavolo pare sia comparsa anche la richiesta di ricorrere alla cassa integrazione straordinaria perché Wärtsilä punta al massimo risparmio e pensa debba incassare piuttosto che spendere. Tanto che non esita a domandare a che punto siano i fondi richiesti a suo tempo per mantenere in Italia i settori ricerca e sviluppo. Poche chance per centinaia di lavoratori dell’indotto ma tremano anche quelli del Service Wärtsilä che sentono aria di ricatto: resterà la manutenzione a Trieste?La palla, ora, è tutta in mano al governo: avrà la sfrontatezza di sottoscrivere il «liberi tutti» che chiede la multinazionale?
Mentre l’assessora Rosolen cerca di ribadire alcuni obiettivi (l’ammortizzatore sociale come strumento per reindustrializzare l’area e garantire i livelli occupazionali), i toni della sottosegretaria Bergamotto sono decisamente più «morbidi». Qualche mese fa, proprio a Trieste, il ministro di Imprese e made in Italy Adolfo Urso aveva parlato della necessità che l’Italia si dotasse di una politica industriale, che si ripartisse dall’industria pesante e via così. E poi? E dunque?
Magari davvero aspetta il 2024 per avere una maggioranza di destra in Europa per modificare in senso «nazionale e protezionista le politiche industriali e non solo», come ebbe a dire a Landini in febbraio. Per adesso quel si vede solo lo smantellamento dell’esistente.
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