Cultura

Fuga da una condizione umana infernale

Fuga da una condizione umana infernaleJulio Manuel de la Rosa

Narrativa Il romanzo postumo di Julio Manuel de la Rosa: «L’ultima battaglia» (per Scritturapura)

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 14 agosto 2024

L’ultima battaglia è il romanzo postumo di Julio Manuel de la Rosa, giornalista e scrittore, nato a Siviglia e morto scrivendo nello stesso «angolo di provincia», appena tradotto «con parole levigate come gemme» dal suo collega ligure Marino Magliani per la casa editrice indipendente Scritturapura (pp. 88, euro 15).

LA GIUSTEZZA POETICA delle parole e la perfezione del loro incastro nella trama per indagare, grazie al potere costituente della scrittura, la condizione umana che scaturisce da una guerra totale come è stata la seconda guerra mondiale. L’ultima battaglia è, in definitiva, una fuga. Fuga forse impossibile dai luoghi chiave di quel conflitto – Stalingrado assediata, Auschwitz, la steppa – divenuti metafore di un orrore (mai li nomina direttamente) che i disertori, i più soli fra i superstiti, dovranno perfino imparare a descrivere durante il doloroso apprendistato della sopravvivenza. Il sogno di «tornare; mangiare; raccontare» altro non è che una tregua effimera, come sapeva quel chimico che «parlava quasi sempre come un poeta» con cui il protagonista di questo romanzo condivide la prigionia nel lager e che altri non è se non Primo Levi.
Julio Manuel de la Rosa deve molto, per la sua ultima battaglia, a La tregua con cui l’intellettuale torinese ha dilatato il significato dell’universo concentrazionario fino a farne il simbolo di una condizione umana che si identifica con la morte. «Impossibile dimenticare ed essere felici dopo tutto ciò, è impossibile, nessuno ce la fa». È un romanzo contro la guerra che l’autore prova a contrastare cercando «parole esatte e meravigliose» capaci di fare a pezzi quella narrazione che invece è capace di ordire il consenso per innescare i conflitti bellici. Come Levi, scrive per colmare «l’immensa distanza tra ciò che avevamo vissuto e le misere parole che avevamo a disposizione».
Oltre a essere un romanziere completo de La Rosa è stato dedito anima e corpo anche ai mestieri della lettura. Confidò al collega spagnolo Francisco Núñez Roldán: «Quando leggo sento un desiderio irrefrenabile di scrivere, e quando scrivo, un desiderio di tornare a un libro». E a sua volta Núñez Roldánlo lo avrebbe definito attraverso gli echi delle sue letture: «Faulkneriano, proustiano, benetiano, pessoano, flaubertiano, barojiano, cervantino e cernudiano». Per non dire delle sue passioni italiane, Calvino e Pavese, di cui ha scritto una biografia.

INVECE L’ITALIA può scoprire questo «manovratore del testo» grazie alla casa editrice Scritturapura, con base nel Monferrato, e alla curatela di Alessandro Gianetti. De La Rosa (1935-2018) è stato uno degli ultimi maestri del giornalismo e della narrativa spagnoli. Scrittore riservato e pugile amateur, di orientamento repubblicano, ha collaborato con i quotidiani Abc, El Correo de Andalucía e Diario 16, oltre che con riviste culturali quali Cuadernos Hispanoamericanos, La Estafeta Literaria, Revista de Occidente, Triunfo. Autore di racconti e romanzi, con Fin de semana en Etruria ha vinto il Premio Sésamo e con Signos il Premio Ateneo de Sevilla.
L’ultima battaglia, terminato qualche mese prima della morte, è uscito postumo l’anno successivo. Dentro si sarebbe ritrovata la sua grande pietà per la condizione umana, la comprensione delle debolezze altrui e il suo interesse per le persone più danneggiate dalla vita, il tutto senza buonismo di maniera o politicamente corretto. E sempre coerente con il suo proposito letterario «di non voler assolutamente scrivere in modo realistico di un paese o di uno spazio con caratteristiche regionali, o peggio ancora locali».

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