Quarantacinque anni senza apparire – se non nello storico live in studio del 2001 immortalato prima su web e poi su dvd – ma sempre presente anche se solo attraverso la voce. Un gioco a cui Mina si presta attraverso copertine enigmatiche, scatti improbabili e dischi collocabili dentro e fuori dal tempo. Un po’come in questa ultima fatica discografica fuori dalla logica delle major – la Pdu viaggia da sola – ma ormai il confine fra musica liquida e fisica è sempre più labile – sfiorando appena quella che è la logica del radio friendly.
Ti amo come un pazzo – primo piano sparato della diva sovrapposto a quello dello (sconosciuto) bel tenebroso. Un po’ – ce lo ricordano anche le note stampa del disco in uscita oggi – come nei vecchi fotoromanzi di una volta, gli storici Bolero con Sophia Loren giovanissima protagonista o quelli della Lancio di Franco Gasparri . E il titolo così come i pezzi si modula, con ironia, sul melodramma.

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Mina, una diva senza etàDODICI CANZONI nel formato cd e dieci nel vinile distribuito in vari formati, con gadget a iosa perché ormai il mercato discografico (fisico) sopravvive grazie ai collezionisti. E la signora ne ha parecchi ai quali è diretta questa macedonia di sapori. Già, perché Mina ha un modus operandi alquanto vario: monografie d’epoca, sortite d’autore – come nel (magnifico) disco di duetti con Fossati – o divertissement sbanca classifiche con il ‘complice’ Celentano. Il duetto con Blanco, pop e melodramma e gli omaggi al repertorio di Enzo Avitabile e Sergio Cammariere
Ti amo come un pazzo si concentra sul pop e sulla canzone d’autore declinata in varie soluzioni. Con Buttare l’amore – già nota, era la sigla dell’adattamento seriale che Ozpetek ha dato l’anno scorso alle sue Fate ignoranti – viriamo addirittura sui cuori infranti: «Dimmelo tu cosa resta di noi», drammatica resa dei conti di una relazione in pezzi. E Mina gioca con i toni gravi e ruvidi di una voce inevitabilmente resa più fragile dall’età, ma che proprio per questo si esalta in pathos e autorevolezza. Schermaglie amorose dai tratti più leggeri anche in Come la luna di Garilli e Rustici, che si apre con un ritornello gospel. La sorpresa arriva con la terza traccia, una delle due cover del disco: Don Salvatò, perla estratta dal repertorio di Enzo Avitabile che vinse nel 2009 la Targa Tenco – una preghiera laica, una invocazione contro le ingiustizie e le brutture dei nostri tempi che Mina canta con voce sofferta e dando al brano un suono ancora più profondo e dinamico. L’altra incursione in repertori già noti riguarda Sergio Cammariere che come pochi in Italia ha saputo coniugare jazz alla canzone d’autore dei sessanta: dal suo canzoniere Mina riprende Tutto quello che è un uomo che arrivò terza a Sanremo giusto vent’anni fa. Una versione molto rispettosa dell’originale, lasciando il testo in maschile e le atmosfere jazz ben amalgamate da Ugo Bongianni al pianoforte.

Mina e Raffaella Carrà da Milleluci (1974), foto Ansa

IL FANTASMA di Fellini – vagheggiato nei sessanta quando, invano, il maestro riminese chiese a Mina di aderire al progetto Mastorna – aleggia sul pezzo migliore del disco Zum pa pa, testo dell’attore toscano Alessandro Baldinotti scomparso nel 2012 e musica di Riccardo Del Turco, giunto a Lugano nei mesi scorsi e aggiunto al disco già chiuso. La voce carnale di Mina si fa eterea in questa storia quasi cinematografica, come fosse un sogno ad occhi aperti della Gelsomina de La strada. Più glamour e sbarazzina la Mina in fil di voce de L’Orto, ode alla verdura firmata da Matteo Lezi che lui stesso presentò a X Factor nel 2018: carinerie che sbiadiscono se le confrontiamo con ben altre incursioni mazziniane su territori brillanti, come Ma che bontà (1977) tra le orchestre e le ocarine di Gianni Ferrio o il protorap nel supermarket della lussuria di Ma chi è quello lì (1987) di Pino D’Angiò.

LO SCARTO del disco – operazione a cavallo fra il marketing e l’esperimento generazionale – è il duetto con Blanco. Il pezzo di Michelangelo è costruito su vari momenti, l’ingresso vocale in falsetto del rapper bresciano, la voce avvolgente di Mina su un inciso drammatico fino al ritornello implacabile, quasi un’Acqua e sale 2.0. Ma, soprattutto, Un briciolo di allegria è un punto di incontro fra un artista contemporaneo e Mina che sa calarsi in un mondo solo apparentemente, non suo. Peraltro incursione già tentata otto anni fa con il progetto di Mondo Marcio Sulla bocca della tigre dove Mina filtrata fra sample e campionamenti, troneggiava imperiosa. D’altronde sono sempre gli anni – senza tempo – della Tigre…