La cittadinanza e la razza come strumenti di esclusione, anche radicale, definitiva, dalla vita politica e sociale. È questo uno dei temi che definisce le caratteristiche fondamentali del nostro periodo storico e che mette in comunicazione i libri di recente pubblicati Razza e cittadinanza. Frontiere contese e contestate nel Mediterraneo di Camilla Hawthorne, tradotto da Marie Moïse, (Astarte, pp. 400 pagine, euro 20), e Rari nantes. Il naufragio dell’umanità scritto da Flore Murard-Yovanovitch e Fulvio Vassallo Paleologo (Left, pp. 146, euro 14, 80).
La cittadinanza come diritto negato alle persone nate o cresciute in Italia da genitori immigrati viene studiata da Hawthorne in combinazione con la costruzione storica della razza, in particolare con la condizione della popolazione nera. La razza costituisce un dispositivo di discriminazione non solo delle politiche della cittadinanza, ma anche, più ampiamente, delle politiche migratorie che lo Stato italiano condivide con l’Unione Europea.

A ESSERE COLPITE negativamente da queste politiche sono, infatti, le popolazioni non bianche, quelle considerate «non assimilabili» nelle società europee e, per questo, sacrificabili: un popolo migrante «titolare di diritti che vengono sistematicamente lesi, incluso il diritto alla vita, dalle autorità di paesi che cercano di impedire l’attraversamento della frontiera». Un popolo abbandonato da Stati e società – quelle europee – che si stanno abituando a convivere con l’orrore: espressione di una «cultura anti-migrante», scrivono la giornalista Flore Murard-Yovanovitch e l’avvocato e attivista Fulvio Vassallo Paleologo, che si manifesta anche nell’ostilità agita in Italia contro quei giovani che vi sono nati e cresciuti e, nonostante ciò, sono considerati stranieri da una parte della popolazione così come da parte delle istituzioni. È ciò che Camilla Hawthorne, docente di sociologia alla University of California, mostra nella sua ricerca, evidenziando come, sebbene contrastati da contro-tendenze importanti, i sentimenti e i dispositivi istituzionali razzisti continuino a definire i neri italiani come un problema, in quanto «i meccanismi di esclusione e svantaggio su base razziale persistono sotto nuove e insidiose vesti». In questo senso, sono contraddittorie anche le retoriche meritocratiche: quelle che esaltano le storie di successo e di cosiddetta integrazione degli immigrati e dei loro figli. Queste retoriche separano gli immigrati buoni e assimilati da quelli pericolosi e per forza estranei, producendo una contrapposizione – anche esplicita – tra gli stranieri meritevoli, individuati solitamente tra imprenditori e imprenditrici, e quelli da allontanare, rifiutare, abbandonare, principalmente associati a quanti giungono come potenziali richiedenti asilo sulle coste italiane o svolgono attività considerate illegittime se non illegali, come l’ambulantato (anche quando svolto con regolare licenza, come nell’ampia maggioranza dei casi).

CAMILLA HAWTHORNE si confronta anche su questo terreno difficile, evidenziando che la liberazione nera non è ancora una prospettiva certa anche se si assume un modello di cittadinanza più digeribile, in quanto «elementi di diversità mediterranea possono essere assorbiti per rafforzare lo Stato-nazione e non necessariamente per contestarlo». La ricercatrice di madre bergamasca e padre afroamericano si confronta su questo tema contraddittorio attraverso uno sguardo politico, mettendo in rilievo come alle azioni più violente contro persone nere – tra le quali, gli omicidi di Firenze e Macerata del 2018 – siano corrisposte forme di solidarietà che hanno messo più strettamente in comunicazione Neri italiani, immigrati, rifugiati e richiedenti asilo. Queste ultime relazioni di solidarietà definiscono un nuovo spazio politico, non chiuso nei e dai confini dello Stato-nazione, ma aperto a quello che Camilla Hawthorne individua come «una politica diasporica del Mediterraneo Nero», ossia una politica di coalizioni organizzata secondo la logica e i metodi della diaspora, dunque non riducibili alla politica nazionale o nazionalista, come ha insegnato nel tempo l’analisi di W.E.B. Du Bois. Questa necessità, fondata non sul colore della pelle o su un passaporto, ma su «una storia comune di lotta», viene condivisa anche dal libro Rari nantes, che invita alla mobilitazione – compreso un monitoraggio indipendente del sistema di controllo europeo delle frontiere – contro politiche intenzionalmente, e in modo sistematico e strutturale, orientate a commettere crimini contro le persone migranti «costrette ad attraversare una frontiera, per la mancanza di canali legali di ingresso e per la situazione che si lasciano dietro». In questo libro, il richiamo al fatto che le società italiana ed europea accettano questi orrori è continuo, è come se fosse una domanda ricorrente, che accompagna ogni riga e pagina: perché stiamo accettando tanti morti e sofferenze nel Mediterraneo e nelle frontiere delegate ai cosiddetti paesi terzi (Turchia, Marocco, Tunisia e altri), che, con politiche diverse, invece, si potrebbero evitare?

A QUESTA DOMANDA contribuiscono a dare una risposta entrambi questi libri. Certo, risposte articolate, non semplificate, che richiamano il fatto, come spiegato da Flore Murard-Yovanovitch e Fulvio Vassallo Paleologo, che le politiche migratorie in vigore, a prescindere dal numero di vittime che producono, hanno l’obiettivo di scoraggiare le migrazioni, così come il fatto che i morti nel mare, e le sofferenze patite nei paesi di transito, come, ad esempio, nei centri di detenzione in Libia, sono, nel tempo, diventati tanto invisibili quanto una normalità con cui le nostre società convivono, tranquillamente. Queste politiche di esclusione radicale trovano un’alternativa, e un’opposizione, proprio nelle politiche diasporiche e di coalizione che le persone migranti e figli di immigrati mettono in atto secondo molteplici modalità. La stessa prospettiva analitica del Mediterraneo Nero sviluppata da Camilla Hawthorne è parte di questa alternativa, che rende evidente come frontiera, cittadinanza e razza siano terreni di conflitto aperti non solo alle politiche di esclusione e selezione agite dagli Stati europei, ma anche alle istanze antirazziste e di giustizia ed uguaglianza sociale.