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Frederick Wiseman, Sof’ja Tolstaja nell’ombra di Lev

Frederick Wiseman, Sof’ja Tolstaja nell’ombra di Lev

Intervista Frederick Wiseman racconta «Un couple», fuori concorso al festival, la moglie dello scrittore protagonista con le sue lettere

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 19 novembre 2022

Il vento soffia lungo le scogliere della Bretagna. Un giardino rigoglioso appare nelle inquadrature, è continuamente percorso da fremiti, sembra poter parlare. Le parole che udiamo sono però quelle di una donna, è Sof’ja Tolstaja, la moglie del noto scrittore interpretata dall’attrice francese Nathalie Boutefeu. È questo il nucleo di A Couple, l’ultimo film di Frederick Wiseman in programma a Filmmaker domenica 27 novembre dopo essere stato presentato a Venezia. Il regista statunitense ha dato nuova vita alle lettere che Sof’ja scriveva a Lev, parole dolorose risuonano come un universale «frammento di un discorso amoroso»: nella storia difficile tra i due emergono questioni sul ruolo della donna e sulle dinamiche tra i sessi ataviche eppure ancora da affrontare. È una parola poetica che, al di là delle intenzioni, diventa una domanda politica.

La natura sembra indifferente al dolore della protagonista, sono due realtà distanti?
Non così tanto secondo me. Durante il giorno il giardino è bellissimo, ma durante la notte la situazione cambia. Il cielo si oscura, gli uccelli cercano i vermi, i conigli cacciano altri animali, è una lotta per l’esistenza che può essere letta come una metafora. Ma tutto questo non elimina la bellezza.
Quest’ambivalenza attraversa il film su più livelli, Lev e Sof’ja si amano e si odiano allo stesso tempo.
È una doppiezza portata agli estremi, sono appassionatamente innamorati o arrabbiati l’uno con l’altro. All’inizio volevo concentrarmi sulla loro routine quotidiana di genitori con nove figli, ma poi mi sono spostato sul discorso di Sof’ja, sul desiderio della narratrice di avere un compagno partecipe della vita famigliare con cui parlare e condividere le proprie esperienze. La fantasia a cui lei dà espressione è quella di un matrimonio felice, che ha potuto vivere solo occasionalmente mentre più spesso è stato violento, anche se non fisicamente.

Sof’ja è sempre rimasta nell’ombra, nel tuo film appare invece come una donna molto intelligente.
Si, nell’ombra del «grande uomo». Ciò che sorprende è che Tolstoj aveva una comprensione così fine degli esseri umani nei suoi scritti, e delle donne in particolare – basta pensare ad Anna Karenina o a Guerra e Pace – ma per qualche motivo non era in grado di utilizzare quell’enorme sensibilità nella sua vita e nei confronti di sua moglie.

«A Couple» è anche un film sulla creazione, e in questo senso ti riguarda.
In un’altra intervista mi hanno fatto questa domanda: Tolstoj ha scritto molti romanzi, tu hai girato molti film. C’è una relazione tra te e Tolstoj? Ho risposto: non sono ricco, non mi piacciono i cavalli e non porto la barba.

Come hai lavorato con Nathalie Boutefeu?
Ci siamo dedicati alla sceneggiatura per circa un anno, lei è una vera amica, avevamo già fatto uno spettacolo teatrale insieme. La storia di Lev e Sof’ja è molto contemporanea e ad un certo punto ho pensato di eliminare i riferimenti storici e di renderlo un film su una coppia di oggi. Nathalie invece ha insistito per rimanere legati alla loro vicenda e penso che abbia avuto ragione.

In effetti emergono tante questioni ancora attuali, come il sacrificio richiesto alle donne rispetto alla cura della casa e della famiglia.
Forse i problemi delle coppie sono eterni. Non so molto degli amanti del sedicesimo secolo, ad esempio, se non il fatto che a 35 anni erano probabilmente già morti; ma basandomi sulle mie esperienze e su quelle dei miei amici, credo che i conflitti siano gli stessi e che i problemi dei Tolstoj non sono unici né strani.

Sei un appassionato dell’opera di Tolstoj da molto tempo?
Sì, ho letto recentemente Anna Karenina e ho avuto l’impressione di averla capita ad un livello molto più profondo rispetto a quando l’avevo letta a vent’anni, la mia esperienza come la mia immaginazione erano limitate allora.

Avevi già realizzato un film di finzione, «The Last Letter», dove la protagonista era una donna alle prese con la scrittura. Perché quando pensi a un lavoro non documentario si presentano questi elementi?
Le persone tendono molto a categorizzarmi come un regista di documentari che si occupa per lo più di istituzioni e pensano che non abbia il diritto di fare altro. C’è una citazione di Emerson che mi piace usare in questi casi: «Una stupida coerenza è l’ossessione di piccole menti». Credo comunque che nei film di fiction che ho realizzato ci sia un unico personaggio perché è come se facessi l’inverso rispetto ai documentari, dove creo un mondo in cui ci sono centinaia di persone: penso anche a lavori recenti come City Hall, In Jackson Heights e Ex Libris. In The Last Letter e A Couple cerco invece di creare un universo composto da una sola persona, ad un livello astratto c’è una correlazione. Ho poi lavorato molto sulla messa in scena e sull’elemento naturale perché non volevo che il film fosse statico, era uno dei rischi realizzandolo con una sola persona.

Nella battuta finale Sof’ja si rimette alla volontà divina. Un tentativo vano di cercare rifugio dal dolore?
Quello era il suo pensiero, se sia vano non lo so, io una risposta non l’ho ancora trovata

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