«Quello che ci divide dal governo non è la condanna netta dell’invasione russa, ma come si reagisce. In Parlamento Draghi ha parlato moltissimo di piani miliari, quasi per nulla di iniziative diplomatiche». Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, ieri alla Camera ha votato no a quelle parti della risoluzione di maggioranza che danno il via libera all’invio di armi all’esercito ucraino. «Si tratta di un errore drammatico: le armi chiamano altre armi, mai così vero come oggi: basti pensare al flusso di armi dall’Italia alla Russia sotto i governi Berlusconi e Renzi. Ritenere che questa nostra partecipazione aiuti una de-escalation è illusorio e pericoloso».

Come si aiutano i civili che stanno subendo questa aggressione?

Con gli sforzi diplomatici, che partono da una condanna netta dell’aggressione e anche del riconoscimento unilaterale delle repubbliche del Donbass. Con gli aiuti umanitari e con l’accoglienza dei profughi. Non con altre armi. Che non aiuteranno neppure il popolo ucraino.

In che senso?

C’è una sproporzione tra gli eserciti in campo, non vederla è ipocrita.

L’Italia ora è parte nel conflitto?

C’è questo grave rischio. Ma la cosa che più mi preoccupa è che l’Europa perda la sua terzietà che è necessaria per una efficace iniziativa diplomatica. E invece riecheggiano toni da guerra di civiltà, i buoni contro i cattivi, la difesa dei nostri valori: c’è anche un linguaggio che chiama alle armi, una corsa a indossare l’elmetto che mi inquieta. Per fortuna ci sono tante mobilitazioni per la pace, dalla Russia al cuore dell’Europa e in Italia. A chi domandava con un certo cinismo «Dove sono i pacifisti?» la risposta è arrivata forte e chiara.

Quale ruolo dovrebbe svolgere la Ue?

Quello di un soggetto politico autonomo dai grandi blocchi, dai grandi imperi che sono tornati protagonisti della scena mondiale: un ruolo di mediazione, che punti al cessate il fuoco e alla costruzione di un nuovo equilibrio, con meno armi e con la messa al bando di quelle nucleari.

Gli Usa non paiono particolarmente bellicosi. Anzi.

Hanno ben chiaro che un intervento diretto porterebbe alla terza guerra mondiale dagli esiti inimmaginabili. E tuttavia l’America ha contribuito alla costruzione di un mondo dove gli imperi si contendono le sfere di influenza e l’egemonia. Dopo la fine della guerra fredda non si è lavorato adeguatamente per un equilibrio alternativo, stabile e multipolare. E purtroppo nello scontro tra imperi sono le autocrazie a rialzare la testa.

Siete più in linea col Papa che con Draghi?

Certo. Il pontefice sottolinea giustamente la necessità di una opposizione radicale alla guerra come strumento di risoluzione delle crisi. Senza questo rifiuto radicale la pace non si costruisce. Colpisce che sia lui e non altri a citare l’articolo 11 della Costituzione italiana.

La voce delle sinistre europee appare debole?

Non direi. Dalla Linke a Syriza a Podemos arrivano posizioni simili alle nostre, che dicono no a una ulteriore escalation militare. Credo e spero che queste voci cresceranno anche in Italia, ben oltre il recinto del cosiddetto pacifismo radicale. Questa retorica della corsa alle armi produce inquietudine, anche dentro il Pd.

In questo momento la vostra posizione è molto distante da quella del vostro alleato Pd.

Non lo nascondo. Agli amici del Pd mi permetto di chiedere un supplemento di riflessione. Capisco perfettamente l’ansia di voler difendere chi è stato aggredito in modo così brutale. Ma ripeto che non si fa con l’escalation militare che rischia di alimentare la dimensione e l’intensità del conflitto. In queste ore angoscia la scomparsa dell’Onu, che non è dovuta solo a limiti strutturali, ma anche alla scelta di mettere ai margini quel modello di soluzione delle crisi.

Voi avete anche chiesto di non colpire indiscriminatamente la popolazione russa con le sanzioni.

Oggi tutti dicono di voler colpire gli oligarchi russi, ma come dice l’economista Piketty è molto difficile senza un catasto globale delle ricchezze. Non dimentichiamo che quegli oligarchi sono stati per anni commensali dell’Occidente.