Frank Sinatra, antirazzista
The Voice Sempre orgoglioso delle sue origini italiane, contribuì all'affermazione dei diritti civili
The Voice Sempre orgoglioso delle sue origini italiane, contribuì all'affermazione dei diritti civili
Il concerto di Sinatra al New York Paramount Theater nell’ottobre del 1944 fu «senza precedenti nella cultura americana dei mass media e provocò un tumulto tra le sue giovanissime fan.» Egli divenne la «più grande star nel numero più grande di media di chiunque altro al mondo» e «…avrebbe cambiato in modo permanente l’immagine degli italo-americani.» Sinatra ebbe dunque un grande impatto sulla musica e sul cinema, sui modelli di genere e gli atteggiamenti socio-politici, sempre con un approccio innovativo – se non rivoluzionario.
Sin dall’infanzia, Sinatra era stato sensibile al pregiudizio anti-italiano e alle sue origini razziali. Da Democratico impegnato fece campagna per il presidente Franklin D. Roosevelt nel 1944 e registrò una serie di spot per il Democratic National Committe, facendo generose donazioni. (E chiamò suo figlio Franklin in onore di Fdr)
Nel 1945 realizzò un cortometraggio contro l’anti-semitismo e l’intolleranza razziale, The House I Live In, scritto dallo sceneggiatore comunista Albert Maltz, i cui «profitti furono devoluti ai servizi sociali». Il corto vinse un Oscar speciale, in riconoscimento dell’impegno politico del cantante. Nel 1956, in un’intervista con Ed Murrow, per prima cosa mostrò la foto autografa di Fdr e successivamente i suoi due Oscar, sottolineando che il primo, quello per The House I Live In, era quello che aveva amato di più. Sinatra, infatti, era davvero sensibile ai temi dell’uguaglianza e della razza: «Quando ero giovane» disse, «la gente era solita chiedermi perché dessi dei soldi al Naacp (National Association for the Advancement of Colored People). Ero solito dire ‘perché ci siamo stati anche noi. Non c’erano solo i neri appesi alla fine di quelle f…. corde» (facendo riferimento al linciaggio di 11 siciliani a New Orleans nel 1891): Sinatra stesso collegava il suo impegno per i diritti civili alle sue radici italiane.
L’impegno di Sinatra in The House I Live In ebbe ripercussioni immediate. Nell’ottobre del 1945 ci furono degli scontri tra studenti afroamericani e italoamericani nella scuola progressista Benjamin Franklin ad Harlem – una speciale scuola integrata creata e diretta da Leonardo Covello e sostenuta da Vito Marcantonio- e Sinatra incontrò gli studenti per parlare loro di tolleranza. Scrisse persino quattro saggi su argomenti razziali. La transizione da artista pop a icona culturale di Sinatra poggiava sui valori che sosteneva, «una dichiarata convinzione nella dignità basilare di ogni essere umano, indipendentemente da razza, origini etniche o religione».
Dopo la guerra continuò la sua militanza nel Partito Democratico e fece parte del Rat Pack, un gruppo di attori riuniti attorno a Humphrey Bogart, il quale aveva guidato il Comitato per il Primo Emendamento a Washington, sostenendo i ‘dieci di Hollywood’ contro l’Huac. (…) Nel 1955, l’attore Peter Lawford, membro del Pack, lo presentò a suo cognato, il senatore John F. Kennedy: come scrive Brownstein, «nella lunga storia delle relazioni di Hollywood con la politica, questo fu il momento clou». Sinatra appoggiò le aspirazioni politiche di Kennedy, facendo per lui campagne elettorali e raccolte di fondi. «Partecipava regolarmente alle riunioni strategiche che Kennedy con i suoi uomini teneva per i leader politici nella villa sull’oceano di Lawford».
Era molto occupato anche nella sua carriera cinematografica, ma quando annunciò che voleva aggirare la lista nera assumendo Albert Maltz per fargli scrivere la sceneggiatura di una sua produzione, The Execution of Private Slovic (testo molto controverso sulla diserzione), John Kennedy gli chiese di desistere se voleva restare a far parte della sua campagna elettorale. E Sinatra obbedì.
Dopo la morte di Bogart, Sinatra assunse la guida del Rat Pack che includeva anche Dean Martin, Peter Lawford, Sammy Davis Jr. e Joey Bishop – un gruppo multietnico e multirazziale, orgoglioso e difensivo di queste caratteristiche, ma anche devoto al bere, alle donne e alle barzellette sconce. John Kennedy fece visita al Rat Pack al Sands Hotel di Las Vegas, andando a donne e a feste con loro, ma Sinatra commise il più grande sbaglio della sua vita presentandogli la stessa donna che frequentava il gangster Sam Giancana. Il cantante/attore era molto attivo nella campagna elettorale di Kennedy. Secondo Tina Sinatra: «Nell’estate del 1959 Joseph P.Kennedy, padre del candidato, incontrò mio padre per chiedergli…di parlare con alcune persone del mondo sindacale e del crimine, per assicurarsi il sostegno del boss mafioso Sam Giancana con i Teamsters nelle cruciali primarie del West Virginia».
Sebbene «gli assistenti di Kennedy fossero preoccupati per la sua amicizia con Sinatra, raccomandarono che egli fosse utilizzato per sostenere la registration per il voto ad Harlem, dove era conosciuto come un eroe della causa dei neri». L’impegno di Sinatra per l’uguaglianza razziale era noto, quindi era utile alla campagna di Kennedy anche per il suo atteggiamento verso questioni etnico-razziali, non marginali nella politica di Kennedy. Il Rat Pack stesso comprendeva artisti di differenti etnie, razze e credenze religiose, come Sammy Davis Jr., performer nero ebreo e attivista per i diritti civili. Come ha raccontato di recente Green Book (Peter Farrelly, 2018), nei tardi anni Cinquanta, gli artisti neri potevano esibirsi nei casinò, ma non potevano mangiare né dormire nel locale. All’epoca Sinatra e gli amici del Rat Pack cercarono di risolvere la situazione, minacciando che, se Davis non poteva stare con loro, non si sarebbero esibiti. In una occasione al Sands, Sinatra invitò Nat King Cole a cenare con loro e insieme con il Rat Pack e con i colleghi dell’etichetta Reprise, boicottò hotel e casinò che rifiutavano l’ingresso agli artisti e ai clienti di colore, giocando un ruolo fondamentale nello sconfiggere la segregazione razziale nel Nevada.
Il suo maggior coinvolgimento in politica, comunque, fu quello con JFK. Nel gennaio del 1961, assieme a Peter Lawford, organizzò il gala inaugurale a Washington D.C. definito dal The New York Times «l’insieme più sbalorditivo di talenti dello spettacolo mai visto in un singolo spettacolo». La crisi tra Sinatra e Kennedy avvenne a causa dei contatti con Cosa Nostra. Il crimine organizzato era parte integrante del mondo dell’intrattenimento perché aveva il controllo dei luoghi di spettacolo (dai locali clandestini durante il proibizionismo ai casinò negli anni Sessanta), perché mediava questioni sindacali e perché forniva droghe e prostitute, e oltre a guadagnarci poteva ricattare star e dirigenti. Visti i suoi contatti con la mafia, Sinatra era un naturale bersaglio delle investigazioni del Fbi. Non sorprende quindi che il Procuratore Generale Robert Kennedy «cominciò a vedere l’amicizia del presidente con Sinatra come un rischio inaccettabile» dopo che Edgard Hoover fece visita al presidente nel marzo del 1962 per dirgli che era a conoscenza della relazione tra la signorina Campbell, JFK e Giancana. Robert esortò quindi il fratello a rompere non solo con la donna, ma anche con Sinatra. (…) Come nota Brownstein, «stando al fianco di Kennedy, Sinatra sperava forse di superare il suo passato, ma invece fu stampato su di lui più indelebilmente che mai». Mentre la reazione difensiva di Kennedy in questo caso è abbastanza comprensibile da un punto di vista politico, va tenuto conto che «le primarie presidenziali del 1960 rappresentarono la vicenda più pubblicizzata e documentata delle storie che riguardano Sinatra e il crimine organizzato», ovvero che Sinatra si compromise con Cosa Nostra per JFK. (…)
Sinatra cambiò fede politica nel 1972, quando sostenne la ri-elezione di Nixon e in seguito la candidatura di Reagan. «Si sparse la voce che Reagan stava per designare Sinatra come ambasciatore in Italia. Il giornale italiano La Stampa era abbastanza preoccupato da sbuffare: ‘Se il governo americano pensa all’Italia come la terra dei mandolini e di Cosa Nostra, allora Sinatra sarebbe la scelta perfetta». Questo commento sprezzante conferma la poca conoscenza che avevano (e hanno) i media italiani di Sinatra in generale (come di tutte le cose italo-americane).
In realtà, quando Sinatra divenne repubblicano, si mosse nella medesima direzione degli elettori italo-americani, socialmente accettati infine come bianchi, ma contrariamente a una certa tendenza razzista che a tratti ha caratterizzato segmenti della comunità, Sinatra non smise mai di sostenere la tolleranza etnico-razziale. Il vicepresidente Hubert H. Humphrey, infatti, scrisse alla figlia di Sinatra, Nancy, «sono convinto che la precoce dedizione di suo padre aiutò a creare il clima politico che rese possibile il passaggio ai diritti civili negli anni Sessanta».
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