«Mi fa venire in mente uno dei leggendari titoli de Il Male, come “Arrestato Ugo Tognazzi, è il capo delle Br”. Ecco, “Morto Berlusconi, funerali di Stato e lutto nazionale” sarebbe stata una copertina altrettanto inverosimile decenni fa» afferma Franco Maresco quando lo raggiungiamo al telefono. Il regista palermitano ha intrecciato il suo percorso cinematografico con quello del Cavaliere all’inizio della sua parabola, «lo avevo individuato negli anni ’80, quando con Ciprì facevamo Cinico Tv, sono un po’ geloso perché lo rappresento da 35 anni e, mi scuso per la scarsa modestia, credo di averlo fatto come pochissimi». E in effetti Maresco ha poca compagnia nell’aver raccontato la figura di Silvio Berlusconi senza farsi intrappolare da moralismo e giustizialismo, ma svelando potere e bassezza di una maschera spettacolare – «è uno degli ultimi grandi comici della nostra tradizione» – insieme all’amore incondizionato che gli ha tributato una parte del Paese. Sentimenti che in Sicilia hanno infiammato cuori per anni – fino alla recentissima elezione di Marta Fascina, mai vista prima sull’isola – e che nel film Belluscone, una storia siciliana (2014) si intrecciano con l’oscura storia dell’ascesa di Berlusconi, in cui Palermo ha avuto un ruolo di primo piano.

Qual è, dal suo punto di vista, il rapporto tra Berlusconi e la Sicilia?

Palermo è la vera capitale di Forza Italia, almeno quanto Milano. Per Belluscone avevo intrapreso una strada che ho poi rifiutato per la sua tentazione moralista: c’era una parte di inchiesta, interviste, dichiarazioni…ma quella lettura non era nelle mie corde. Quando entrai in contatto con Ciccio Mira fu quindi una rivoluzione, perché raccontare come le origini imprenditoriali di Berlusconi fossero radicate a Palermo attraverso quest’uomo di spettacolo e i suoi clienti, i neomelodici napoletani, era perfetto. Oggi i suoi dicono che è stato sempre assolto rispetto ai legami con la mafia, ma così facendo lasciano in secondo piano la condanna di Dell’Utri in cui Berlusconi era naturalmente coprotagonista. Sappiamo che il Cavaliere è stato ostaggio della mafia a partire dagli anni ’70, Vittorio Mangano, uomo di cosa nostra, fu il suo «stalliere», io sono convinto poi che l’incontro con il boss Stefano Bontade ci sia stato,

Marcello Dell’Utri in “Belluscone, una storia siciliana”

a lui Berlusconi si era rivolto per cercare protezione da sequestri e simili perché credeva molto più in cosa nostra che nello Stato. Gaspare Mutolo, un pentito attendibile, lo racconta nel film: gli «amici» prestarono 20 miliardi per far nascere Mediaset. Ero io lì fisicamente? No, ma ho visto cosa è accaduto dopo le stragi nei circoli di Forza Italia. Oltre a tanti intellettuali e militanti di sinistra che passarono al partito, la cosa più clamorosa fu vedere aderirvi alcuni vertici dell’antimafia. Questa intensissima complicità clientelare si percepiva benissimo, e il famoso 61 a 0 del 2001 la dice lunga. Berlusconi ha avuto l’intelligenza di coniugare l’Italia dei night club, di Fred Buscaglione, delle rotonde sul mare con un’idea di modernità basata su un capitalismo a portata di mano. Il tutto con grande simpatia, inutile negarlo. Aggiungendovi il calcio, le donne e la tv ha conquistato il Paese. Belluscone era come un film di fantascienza, sulla scia de La svastica sul sole di Dick, dove tutto si azzera con l’arrivo della società dell’iperspettacolo. I «servi» di partito fecero pressione per far ritirare il film, ma so che Berlusconi stesso gli disse di lasciar stare, era molto più intelligente delle persone di cui si era circondato.

Quali cambiamenti ha innescato la tv berlusconiana?

Nella Prima Repubblica non si poteva scherzare sulla politica in tv. A sinistra c’è sempre stata una serietà pazzesca, quella di Berlinguer era anche suggestiva, epica e dolorosa, ma quando poi si è sciolto il Pci, sono caduti muri e maschere e è emerso il ridicolo involontario. A quella epicità si sono sostituite figure sempre più grigie e insignificanti. La destra ha altrettanto piattume ma, da regista, pagherei per avere come attori La Russa o Gasparri, con loro si ride volentieri. Pannella ha preceduto Berlusconi nella spettacolarizzazione del momento televisivo, ricordo quando in una tribuna elettorale i Radicali si presentarono con un bavaglio e rimasero muti per tutto il tempo. Ma Pannella aveva un retroterra culturale serio, mentre Berlusconi veniva veramente dalle crociere, con un approccio da commedia all’italiana. Aveva però capito una cosa fondamentale, già come imprenditore: la crisi della democrazia, la sua fragilità. Non so quanto ci avesse ragionato ma di sicuro aveva intuito che dopo Mani pulite tutto sarebbe stato possibile, con il forte cambiamento portato da tecnologie e comunicazioni.

Qual è il suo pensiero sul lutto nazionale?

In quale altro pianeta della galassia sarebbe potuto succedere? Lasciamo perdere il sesso, su cui c’è un’enorme ipocrisia. Ci vorrebbe una misura, ma ora tutto è dimenticato: i senatori comprati, le leggi sulle tv, il conflitto di interessi. La sinistra andava ai talk show di personaggi ambigui come Costanzo, rinunciando a qualsiasi forma di pensiero. Ridendo e scherzando sono arrivati «loro», anche se Almirante aveva tutt’altra statura rispetto a Meloni. La velocità della comunicazione cancella le emozioni e il senso del discorso, ora l’unica speranza è che si arriverà alle estreme conseguenze con l’intelligenza artificiale e l’estinzione dell’umano.