Cultura

Franco Fortini, pedagogia come lotta per un’altra società

Franco Fortini, pedagogia come lotta per un’altra societàFranco Fortini, foto Getty Images

ITINERARI Quattro volumi recenti a proposito dell’impegno didattico del poeta e critico. Un percorso di letture, dal ricordo dei suoi studenti ai materiali preparatori delle lezioni universitarie. Vi è il segno sociale di un’urgenza non più reprimibile, prodotta dalla devastazione neoliberista nell’intero campo dell’istruzione e della ricerca

Pubblicato circa un mese faEdizione del 3 ottobre 2024

«La scuola è sempre più spesso considerata più come un’impresa o una ‘scuola di competenze’, in cui la didattica e i rapporti insegnanti-studenti devono essere efficacemente e facilmente quantificabili – la qualità dell’offerta didattica passa in secondo piano, gli argomenti devono essere spendibili immediatamente sul piano pratico – e in cui anche il linguaggio è pervaso dall’ideologia del mercato», così Chiara Trebaiocchi mette in chiaro da quale ferita sociale muove la sua ricerca su Fortini insegnante (Reschooling Society. Pedagogia come forma di lotta nella vita e nell’opera di Franco Fortini, Pacini, pp. 272, euro 27).

In effetti, nella circostanza notevole dell’uscita di quattro volumi dedicati all’impegno didattico fortiniano è da vedere anche il segno sociale di un’urgenza non più reprimibile, prodotta dalla devastazione neoliberista nell’intero campo dell’istruzione e della ricerca, quindi delle nuove generazioni, del lavoro e del vivere civile. Questa è la prima utilità da segnalare al lettore. Per quanto profondi siano i mutamenti tanto dell’organizzazione scolastica e universitaria quanto delle condizioni politico-sociali complessive dal tempo di Fortini, la natura capitalistica di essi non è cambiata, ma trasformatasi in ragione delle mutazioni capitalistiche medesime, per cui se oggi non sono replicabili le determinate scelte tattiche dell’insegnante Fortini, più che mai vive rimangono l’analisi critica e l’ispirazione strategica da cui muovono.

LA RICOSTRUZIONE dell’attività dell’intellettuale marxista nell’aula della scuola e dell’università, ricorrendo a testimonianze di ex allievi, come fanno in particolare Lauretta D’Angelo, Paolo Massari e Lorenzo Pallini nel libro a loro cura (Allora comincerò… Franco Fortini nel ricordo dei suoi studenti, postfazione di Donatello Santarone, Bordeaux, pp. 128, euro 14. Nel volume il link per Un giorno dopo l’altro. 16 piccoli film su Fortini insegnante curati da Pallini, autore del precedente documentario Memorie per dopo domani), mostra subito, con la vivacità degli aneddoti, la mossa intellettuale e politica della saggistica come della poesia fortiniane, che ha nella totalità il paradigma di analisi critica del presente e l’aspirazione a una nuova possibile, dove «l’uomo sia di aiuto all’uomo».
«Talvolta nel commentare fatti quotidiani banali – testimonia Nino Ciaccio in questo volume – risaliva a situazioni complesse, situazioni storiche, facendo paralleli che dimostravano la sua profonda cultura e capacità di osservare la storia e gli eventi sociali in tutta la loro complessità». È la traduzione didattica del rifiuto indicato nella critica letteraria contro lo specialismo fine a se stesso, sostenendo la necessità di un giudizio poetico a proposito di un discorso politico e viceversa. «Separare discipline e competenze – scrive Trebaiocchi – parcellizzare temi globali in saperi particolari gioca infatti a favore del potere capitalistico anche perché, da una parte, spinge ad accettare figure di specialisti interessati solo al proprio mini-quadratino di sapere e, dall’altra, implica una generale deresponsabilizzazione del cittadino, sempre più sordo all’idea di comunità e solidarietà».

Da qui nasce la secca conclusione teorica di Fortini: ogni immediatezza, ossia rifiuto della mediazione è reazionaria. Di qui il suo continuo appello alla costruzione di una lingua comune cui ogni intellettuale deve operare, che altro non è che la condizione del riconoscersi e del convergere in un’azione comune: il comunismo è l’insegnamento di tutti a tutti, dice. In una condizione come la nostra in cui l’azione e il confronto sono rinchiusi nei compartimenti stagno neocorporativi, il richiamo è tanto più cocente.

DI GRANDE VALORE CRITICO è anche l’indicazione del risparmio, che converge con Verso un’ecologia della mente, di Gregory Bateson. Non solo perché contrasta la spaventosa dissipazione odierna, ma anche perché ne mette a nudo un altro lato oscuro, dove vediamo oggi pullulare refrattarietà, risentimenti, complottismi: «il silenzio e l’ignoranza vera sono sempre preferibili alla pratica corrente del “tutto e male”, ossia della ignoranza falsa. Una educazione all’immaginario non può essere oggi se non una ecologia dell’immaginario», cita Lorenzo Tommasini (Educazione e utopia. Franco Fortini docente a scuola e all’università, Quodlibet, pp. 320, euro 24).
Si parla di scuola e università, ma in realtà è in questione la società e il suo destino. In questa tensione riconnettiva incontriamo il secondo motivo d’interesse delle quattro opere pubblicate, perché riequilibrano il profilo intellettuale di Fortini, ponendo al centro della sua esperienza l’attività pedagogica. La rinnovata attenzione, infatti, si era soprattutto soffermata sulla sua poesia, quasi a compensare la relativa sottovalutazione avuta in vita e di cui soffriva. Ricordo che in una lezione ebbe a dire che essere poeta era un vero onore, anche se lo si era di seconda fila. Certo complice la restaurazione capitalistica intervenuta a partire dai secondi Settanta, di cui oggi vediamo i frutti più avvelenati, l’attività saggistica e militante era passata in secondo piano, più frammentaria ancora la sua immagine didattica. Se Trebaiocchi, come dichiara il titolo, vede la «pedagogia come forma di lotta nella vita e nell’opera»,

Tommasini, attraverso il ricorso a documenti d’archivio, pubblicazioni e testimonianze, mostra in modo convincente tanto la continuità tra insegnamento nelle scuole secondarie e università, quanto come il lavoro con gli studenti sia stato una feconda occasione di riflessione intellettuale e saggistica in continuo scambio, in cui l’esperienza didattica ora anticipa, ora segue la riflessione pubblica. Da segnalare la recente curatela di Tommasini dei Corsi universitari (Firenze University Press & USiena Press, pp. 350, euro 49 – trascrizione dei materiali preparatori delle lezioni universitarie dal 1971 al 1986, conservati presso l’Archivio Franco Fortini della biblioteca umanistica dell’Università di Siena, dove si è svolta la sua intera attività accademica). Insomma, l’attività didattica che va dal 1964 «almeno fino al 1989», osserva ancora Tommasini nel volume Educazione e utopia, costituisce «un’esperienza che occupa una parte piuttosto estesa e intellettualmente intensa della vita di Fortini.

In questo lasso di tempo infatti vengono pubblicati saggi rilevanti come quelli raccolti in Questioni di frontiera o in Insistenze e vengono date alle stampe importanti sillogi poetiche». Una ricostruzione in cui in modo naturale, ricorrendo a testimonianze di ex allievi, il ritratto intellettuale è accompagnato al ritratto dell’uomo, alle sue caratteristiche, come quella che a un certo punto – pare nelle aule del 1977 – gli procurò la definizione di «Lattes a lunga conversazione», alla passione intellettuale, alla grande generosità pedagogica con cui si dedicava agli allievi, oltre l’orario scolastico.

ASPETTO, QUESTO, al centro del volumetto di D’Angelo, Massari e Pallini, cui nel 1996 già aveva lavorato una pubblicazione di Ennio Abate (Se tu vorrai sapere … Testimonianze per Franco Fortini, ora scaricabile online). I lavori, sia detto di passaggio, permettono anche uno sguardo sull’intellettualità e la scuola di grande interesse sociale e politico sul profilo dell’una e dell’altra, di cui Fortini è solo un caso che fa sentire quanto uno studio che mettesse a fuoco il tema in una disamina complessiva contribuirebbe alla conoscenza delle trasformazioni capitalistiche dell’intellettualità e della scuola.
Bisogna far cenno ad almeno un’ultima questione sollevata a più riprese dai lavori, già visibile nell’oscillazione terminologica insegnante, intellettuale. Stando alla definizione di Gramsci, cui ampiamente si ricorre per un parallelo con Fortini, soprattutto da parte di Trebaiocchi, l’intellettuale è esperto più politico. «Politico» indica tanto una tensione a conoscere la società in cui si vive, quanto un interesse a una sua trasformazione («utopia» dice Tommasini; «forma di lotta» Trebaiocchi), dove il secondo genera il primo.

Dal momento che il cambiamento sociale è sempre frutto di opera collettiva, la postura pedagogica, dentro o fuori le istituzioni scolastiche, è intima alla funzione intellettuale, tanto più se di parte marxista. Solo chi si affida o si vende alle forze dominanti può limitarsi alla funzione di esperto.
Così, gli odierni docenti ricevono dal loro collega Fortini questo insegnamento: o si dispongono individualmente, ciascuno secondo le proprie possibilità, nella posizione dell’intellettuale e lottano perché ciò diventi un movimento collettivo, oppure si rassegnino alla condizione di esperti del poco, talvolta del nulla, alla frustrazione e misconoscimento sociale, quando non al risentimento, alimento della reazione che insanguina il nostro Occidente.

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