Franck Thilliez è uno dei protagonisti del poliziesco francese delle ultime stagioni, dal 2004 ha pubblicato oltre una ventina di romanzi, spesso incentrati sulle indagini della coppia di poliziotti formata dal commissario Franck Sharko e dall’ispettrice Lucie Henebelle, che ne hanno fatto uno degli autori più letti del Paese. Caratterizzati da uno stile ruvido e una lingua chiara, che sembra guardare ai modelli d’oltreoceano del genere, i libri di Thilliez, pubblicati nel nostro Paese da Fazi, si muovono prevalentemente lungo il crinale che separa paure individuali e collettive, indagando le forme che può assumere «il male» e cosa ne è all’origine. Nel caso di Norferville (traduzione di Daniela De Lorenzo, Fazi, pp. 380, euro 19,50), l’omicidio efferato di una giovane francese in un ex villaggio minerario del Québec consente allo scrittore di Annecy di affrontare una tragedia dai contorni plurali e collettivi: quella di cui sono vittime da decenni le giovani donne indigene del nord del Canada. Al passo del noir e del thriller, propri di Thilliez, si aggiunge così quello dell’indagine sociale, per cercare di fare luce su una violenza che è frutto anche del razzismo e dell’emarginazione sociale. Un romanzo uscito alla vigilia delle elezioni forse più importanti della storia del suo Paese e in vista delle quali lo scrittore ha scelto di intervenire firmando, accanto a molti altri autori, tra cui il vincitore del Goncourt Jean-Baptiste Andrea, ma anche l’ex partigiana di 99 anni Madeleine Riffaud, un appello a votare «contro l’estrema destra» di Marine Le Pen.

A condurre le indagini su un crimine spaventoso è Léonie, poliziotta figlia di un minatore bianco e di una donna indigena, e lei stessa già vittima di violenza. Fin dall’incontro con questa figura, il lettore è spinto a riflettere sulla condizione delle popolazioni indigene del Canada, e in particolare delle donne che subiscono abusi e violenze. «Norferville» vuole far conoscere un dramma forse poco noto?
Mentre facevo le mie ricerche sul Québec, ho scoperto questa terribile vicenda, che mi ha turbato moltissimo, e che si è prodotta in Canada fino a non molto tempo fa: per decenni, le donne indigene del Paese sono state vittime di violenze, omicidi e scomparse ben più del resto della popolazione femminile. Le statistiche indicano che una ragazza indigena di 15 anni ha dieci volte più probabilità di subire violenze rispetto alle altre sue coetanee. L’isolamento, la povertà, la mancanza di considerazione nei loro confronti, ma soprattutto la passività dello Stato di fronte a questi atti violenti, hanno reso soprattutto le giovani donne dei bersagli privilegiati, sia all’interno che all’esterno delle loro comunità. E come scrittore non è stato difficile immaginare il trattamento che alcune di queste donne hanno subito in centri molto isolati, all’epoca in cui non esistevano i sociali e nessun mezzo per comunicare con il mondo esterno: ho capito subito che questo sarebbe diventato il cuore del libro.

Morgane, la giovane francese uccisa a Norferville si batteva per far emergere la verità sulle morti delle donne indigene, oltre 1200 negli ultimi 40 anni, per attenersi ai dati ufficiali, ma il numero sarebbe molto più alto. L’indagine sul suo omicidio serve anche per capire come sia stato possibile questo orrore?
Credo sia questo il vero potere del romanzo poliziesco! L’indagine di polizia è infatti solo un pretesto per affrontare un argomento che un autore ritiene importante o che riflette un aspetto della società in cui vive. Investigare su un omicidio significa comprendere le ragioni profonde che hanno portato a quell’atto violento. Cosa è andato storto e da quando? Perché alcune persone cambiano d’un tratto fino a commettere un delitto? È qualcosa di legato all’educazione, alla genetica o che nasconde qualche terribile segreto? Attraverso la storia e i suoi protagonisti, «Norferville» mi permette di condividere la ricerca che ho svolto e le idee che mi sono fatto riguardo a quanto è accaduto.

Franck Thilliez, foto di Hannah Assouline Fleuve EditionsLéonie e Teddy, il padre di Morgane, un noto criminologo francese, sostituiscono in questo caso la coppia di investigatori formata da Lucie Henebelle et Franck Sharko che sono in genere al centro delle sue storie. Aveva bisogno di figure diverse e come ha plasmato le loro personalità?
Teddy è il padre della vittima, gestisce una piccola agenzia investigativa a Lione ed è abituato a lavorare con la polizia nelle indagini penali. Quando apprende della morte della figlia nell’estremo nord del Québec, lascia tutto per raggiungere quella regione ostile. E si chiede: cosa ci faceva lì Morgana e perché è stata uccisa? Come i lettori, il personaggio non sa nulla del luogo in cui si sta recando, delle sue tradizioni, della sua storia, di come si vive da quelle parti. Così, grazie a lui e alla sua apparente «ingenuità» impareremo molto su questa terra e i suoi misteri. Poi c’è Léonie, una poliziotta del Québec, nata a Norferville da un minatore e un’indigena: lei è sia bianca che Innu, ma soprattutto non si sente né bianca né Innu. E cela in sé un doloroso segreto: 20 anni prima, quando era solo un’adolescenza è stata violentata da tre sconosciuti nella cittadina mineraria. Dover tornare laggiù, in un luogo che odia sopra ogni altra cosa, per indagare su un omicidio terribile, rappresenta per Léonie un vero trauma. Norferville finisce così per riunire due esseri umani che la vita ha fatto a pezzi e che dovranno contare in qualche modo l’uno sull’altro per capire cosa è accaduto.

L’ex centro minerario dove ha luogo la storia è frutto della sua fantasia, ma tutto, nel romanzo, fa pensare al mondo reale: come si è documentato e perché dopo un polar urbano come «La Faille» (ancora inedito in Italia) ha scelto un contesto come questo?
È vero, La Faille è un romanzo cupo, metropolitano, segnato da molte scene scure in luoghi bui, nascosti, per questo sentivo di avere bisogno di luce, di spazi ampi e aperti, di natura. Poi mi sono ricordato di un viaggio in Québec che avevo fatto qualche anno fa. Mi era rimasta in mente l’immagine di una natura allo stesso tempo magnifica e terribilmente ostile. Facendo delle ricerche ho scoperto l’esistenza di vecchie città minerarie, luoghi isolati, caratterizzati da condizioni di vita molto difficili: l’ambientazione perfetta per un noir. Per dare forma a Norferville mi sono basato su una città vera, Schefferville (un piccolo centro minerario della penisola del Labrador, nella regione di Côte-Nord, attivo fino al 1982 e che dopo la cessazione dell’attività estrattiva è stato perlopiù abbandonato dagli abitanti, ndr), ma ho fatto anche attenzione al fatto che i residenti non si potessero sentire presi di mira.

Il freddo e la natura ostile sono tra i protagonisti della storia al pari dei personaggi. E, come indica una frase di «Zanna bianca» di Jack London (in esergo al romanzo), lei ha scelto di raccontare un ambiente dove sopravvivere non è sempre così scontato: il lato selvaggio della natura e quello dell’uomo convivono nella trama del romanzo?
Considero il contesto e l’atmosfera di fondo come altrettanti elementi essenziali per un buon noir. Così, in questo caso, ho voluto trasportare i lettori nell’estremo Nord del Canada, nel territorio del freddo e mentre regna un inverno spietato: quasi si potesse provare una fitta di freddo solo a toccare il libro, una sfida con cui mi sono voluto misurare per tutte le 400 pagine della storia. Ho sempre amato Jack London e la sua incredibile capacità di descrivere la sopravvivenza in ambienti ostili. Ovviamente queste condizioni estreme fanno emergere ciò che c’è di più istintivo e selvaggio anche nell’uomo. Possono rivelare i punti deboli e i punti di forza di ogni persona e forse solo coloro che sono comunque in grado di adattarsi riescono a sopravvivere.

Proprio oggi il suo Paese è impegnato in una scelta che potrebbe risultare decisiva, e che è in ogni caso gravida di conseguenze. Lei è tra i firmatari di un appello pubblicato sul sito change.org che invita ad opporsi al Rassemblement National. Malgrado abitualmente non intervenga nel dibattito pubblico, in questo caso ha scelto di farlo: perché proprio ora e cosa pensa sia in gioco in Francia come nel resto d’Europa?
La situazione della Francia è davvero grave, l’estrema destra non è mai stata così vicina alle porte del potere. Il partito di Marine Le Pen scommette da tempo sulle paure, sull’odio, sulla stigmatizzazione dell’altro per convincere gli elettori a votarlo, avanza promesse pericolose per la nostra democrazia e che rappresentano altrettanti vettori di caos. Se ho scelto di intervenire è perché penso che la cultura, e in particolare la letteratura, siano minacciate. E non si tratta di fantascienza. In alcune città francesi amministrate dal Rassemblement National, gli eletti intervengono per guidare le scelte dei bibliotecari: vietiamo alcuni libri sovversivi, incoraggiamo l’acquisizione di altri, cancelliamo gli abbonamenti ai giornali che criticano l’estrema destra. Non sono gli autori più noti, come me, ad essere minacciati, ma «i piccoli» che scrivono di temi legati al genere, all’immigrazione e a tutto ciò che dispiace a questo partito. La letteratura e la scrittura incarnano la libertà assoluta di pensare, di mettere in discussione il mondo, qualunque siano le tue idee. È qualcosa di prezioso e dobbiamo lottare tutti per preservarlo.