Incontriamo Francisco Mela (batterista, percussionista, compositore, didatta e leader) in un tiepido pomeriggio autunnale del 2022 nel giardino di una villa sulle colline attorno a Sutri (VT), dove risiedono da circa un mese cinque musicisti/e selezionati per un particolare residency project: Sounds of Freedom (che si rinnoverà nel 2023). Organizzata dalla newyorkese 577 Records e da uno dei suoi produttori, il batterista Federico Ughi, la residenza vuole dare «l’opportunità di sviluppare il proprio concetto di suono, capacità compositiva e improvvisazione»; nell’ultimo periodo, prevede la presenza maieutica di Mela che inizia l’intervista suonando un flauto in legno che ha quasi sempre con sé; dalla villa si sentono i musicisti suonare.

Come nasce l’idea di «Sounds of Freedom»? Come mai all’interno del Berklee College, dove lei insegna, non c’è molto spazio per il free jazz?
L’idea e il nome di Sounds of Freedom, si spiegano da soli. È un’espressione legata a ciò che ogni singolo musicista vuole produrre e quanto voglia esprimere se stesso in modo libero. Questo è lo spazio, noi tutti crediamo in questa musica; molto importanti sono energia, emozioni dell’anima e affetti. L’idea è quella di mettere insieme persone che amino realmente improvvisare, che credano davvero in questa musica che è ragione di vita. Al Berklee College of Music in questo periodo ci sono tanti giovani, nuovi musicisti interessati a questa dimensione, perché cercano un modo più libero attraverso cui esprimere le idee. Hanno bisogno di un nuovo stile di vita, vogliono essere liberi di suonare in questa prospettiva.

Quindi si sono aperti degli spazi nel Berklee College in questo senso. Di che origine sono questi musicisti?
Vengono da tante parti, per esempio da Israele, e sono interessati a scoprire come si suoni free. Ci sono gli americani ma la maggior parte sono giovani musicisti originari di vari paesi.

In base a quali caratteristiche ha selezionato la pianista giapponese Hidemi Akaiwa, il trombettista Diego Hedez e il contrabbassista Ledian Mola (cubani), l’altista Jeff Pearring e la batterista Olivia Kelly (statunitensi) per la residency di «Sounds of Freedom»?
Perché questi cinque musicisti? Quando collaboravo con McCoy Tyner ho suonato al Blue Note a Tokyo; ero preoccupato perché nel pubblico c’era Lewis Nash, un vero «maestro» del batterismo. Lo dissi a McCoy ed egli mi rispose: «Mela, suoniamo musica per rendere libera la nostra anima: suona te stesso e non preoccuparti. Ho scelto te perché tu cresca insieme a me. Non ho niente da insegnare a Lewis Nash, voglio trasmettere a te tutte le mie conoscenze, trasmetterle alle nuove generazioni». Ciò risponde alla domanda: abbiamo selezionato questi musicisti non solo perché interessati ma perché si cresca insieme nelle settimane del Sounds of Freedom. Le conoscenze diventano così intense quando si impara gli uni dagli altri ad esprimere se stessi! Noi suoniamo, ci esprimiamo, creiamo gioia e siamo davvero felici. Tu puoi essere un musicista professionista, un avanguardista riconosciuto, suonare bene ma suonare insieme per un mese è un po’ più complicato. Ogni giorno ti chiedi: «Quale sarà la prossima idea? Cosa accadrà? Cosa ci sarà di nuovo? Cosa cominceremo ad imparare oggi?». Questo è quello che voglio dai musicisti e sono contento di essere qui e di essermi unito a loro per crescere insieme.

Akaiwa, Hedez, Mola, Pearring e Kelly vengono da luoghi e background culturali diversi: come è possibile che riescano a comunicare isolati nella campagna romana?
Non esiste una sola lingua, non tutti parlano inglese ma comunichiamo attraverso la musica. È possibile perché la creiamo insieme e siamo interessati ad imparare come farlo, a crescere in quanto improvvisatori. Non importa da dove vieni se sei interessato ad essere un artista.

Lei si è avvicinato alla 577 Records di Federico Ughi e Polly Barnes durante il periodo della pandemia. Cosa ha trovato di nuovo e interessante nella label e nei suoi artisti, da William Parker a Zoh Amba?
Una sera, dopo aver suonato con McCoy Tyner al Blue Note di New York, Cecil Taylor, che era nel pubblico, venne nel nostro camerino per complimentarsi con Tyner. Io ero lì e McCoy, dopo l’incontro, mi disse: «Sai chi è? È una persona estremamente libera. È un grande esempio di libertà: vorrei essere come lui perché la musica ci rende liberi». Le riflessioni di Tyner mi hanno ispirato e spinto ad andare avanti nella ricerca, verso altre esperienze. Ho suonato con McCoy per dieci anni. Quando smisi di lavorare con lui, volevo anch’io essere libero, pur avendo già registrato vari album a mio nome (il primo è «Melao», 2006, ndr). Durante la pandemia cercavo un’etichetta per produrre un album. Scrissi a molte; solo due mi hanno risposto tra cui la 577, l’etichetta che registra Daniel Carter, William Parker, Gerald Cleaver… Mi sono messo in contatto con Federico Ughi che mi ha comunicato che avrebbero voluto produrre la mia musica. Ho cominciato così. Ho proposto a Federico un progetto di tre album dedicati a McCoy Tyner, alla sua eredità. Il pianista suonava per rendere libere le nostre anime e questo è il progetto con tre trii con tre pianisti: Matthew Shipp, Cooper More e Leo Genovese, contrabbassista W. Parker. «Ti va di realizzarlo?», ho chiesto. Federico ha detto di sì e la nostra relazione è diventata sempre più stretta: registriamo e registreremo album in solo, in duo e in varie altre situazioni. Amo molto lo spirito di apertura della 577 Records.

Lei ha una profonda conoscenza della musica cubana tradizionale; come riesce ad unirla con il jazz più contemporaneo?
È la storia della mia vita. Sono partito da quella tradizione e sono arrivato dove sono adesso. Ho cominciato suonando musica cubana, ora suono free jazz. Non so come le due cose si uniscano.

La seduta di registrazione di domani (Live Performance a Roma, 27 ottobre, al Curva Pura) come sarà organizzata?
È un’opportunità per riaffermare tutto il lavoro che è stato fatto in questo mese. Avremo qualcosa, dei materiali preparati per l’occasione, da usare o, forse, per iniziare la performance. Diamo il via a una carriera artistica, non a una carriera musicale che è fatta di ingaggi, di pratica sullo strumento… Il concerto è per artisti improvvisatori come se fossero danzatori, pittori. I materiali che useremo domani servono per agire in questa direzione.
Interviene Federico Ughi: «L’idea è quella di fornire ai cinque studenti e studentesse gli strumenti per iniziare un percorso artistico. Sono già degli ottimi strumentisti ma c’è una grandissima differenza con l’essere un artista. Chi è arrivato a Sounds of Freedom come strumentista ci piacerebbe vederlo cominciare o continuare una carriera da artista, al di là di generi musicali e meccanismi professionali. Decideranno loro come utilizzare la registrazione. La residenza sta finendo e questo è un momento di confine tra sogno e realtà del mondo esterno, in prospettiva di una carriera. Il percorso di Sounds of Freedom è stato ideato come un momento per prendere in mano il proprio itinerario e decidere cosa fare».

Per Francisco Mela, personalmente, cosa ha rappresentato questa settimana?
Molto emozionante, importante, responsabilità: un’occasione di crescita, di arte, di condivisione delle mie conoscenze con una nuova generazione. Sto imparando tantissimo e non mi sento troppo stanco, mi sento fresco. Torno negli Stati Uniti, a Boston, pieno di gioia, allegria, energia; torno con la mente chiara ed è molto importante.

 

DEDICATO A MCCOY TYNER
Nato a Bayamo (Cuba) nel 1968, Francisco Mela fino al 2000 vive nell’isola studiando e suonando, leader della MelaSon Latin Jazz Band. Nel 2000 si trasferisce a Boston, invitato dalla facoltà di percussioni del Berklee College of Music e da lì intreccia relazioni sempre più ampie. La sua carriera è quella di un brillante jazzista modern-mainstream, ma dal 2019 si avvicina all’etichetta 577, cenacolo dell’avanguardia newyorkese. Per essa incide con Matthew Shipp e William Parker, con la sassofonista Zoh Amba, nel trio di Frank Carlberg. Il 20 gennaio 2023 uscirà il suo trio con Cooper-Moore e W. Parker, secondo episodio di un progetto dedicato a McCoy Tyner (Music Frees Our Souls). Fa parte del quartetto di Joe Lovano (2005), entra nel trio di McCoy Tyner (2009-’19), è direttore artistico di festival, guida i gruppi Cuban Safari e Crash Trio, incide vari album, collabora, tra gli altri, con K. Barron, G. Garzone, L. Genovese, J. Moran, J. Patitucci, J. Scofield, E. Spalding, M. Turner e C. Valdez.