Ogni tanto la lettura delle pagine culturali riserva qualche sorpresa piacevole o perlomeno bizzarra. Così, per esempio, dobbiamo ringraziare ancora una volta il Literary Saloon dell’infaticabile AM. Orthofer, un essere umano – almeno si suppone – capace di recensire 100 libri in 240 giorni (e non parliamo dei romanzi sentimentali che fanno piangere i booktoker, ma di testi sostanziosi, classici o recentissimi), per averci portato a conoscenza di un premio letterario francese, arrivato nel 2024 alla terza edizione e dotato di caratteristiche insolite.

Parliamo del Prix «Naissance d’une oeuvre», che viene assegnato ogni anno a maggio, «non a Parigi, ma a St Nicolas de Véroce, di fronte al Monte Bianco, una vetta leggendaria per le sue ‘cordate solidali’, riconosciute dall’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità», per citare il comunicato con cui il riconoscimento è stato lanciato nel 2022. Un premietto provinciale per la narrativa a sfondo alpinistico, penseranno i diffidenti – e invece no, un po’ perché la cifra assegnata al vincitore è di ventimila euro, non proprio spiccioli, e soprattutto per l’obiettivo: «accompagnare la costruzione di un’opera letteraria nella durata». Nel concreto, in base al regolamento, anziché i soliti esordienti, possono partecipare al premio autori e autrici non per forza francesi, ma sicuramente francofoni, arrivati al loro quarto o quinto o sesto romanzo e che grazie al premio potranno trovare «un nuovo slancio» per «un’opera già affermata ma non ancora compiuta».

Se davvero mandare in stampa un nuovo libro, avendone tre o quattro alle spalle, sia «un momento delicato» nella vita di chi scrive, per citare di nuovo il comunicato, non sapremmo dire. Di certo il vincitore dell’anno scorso, il romanziere Gilles Marchand, ha accolto il premio con giubilo: sulla pagina di «Naissance d’une oeuvre» dedicata al suo romanzo Le soldat désaccordé (in italiano Il soldato perduto, edito da Neri Pozza) Marchand definisce il riconoscimento «un’idea geniale», che «in un mondo che va sempre più veloce, cerca di fermare il tempo per ricompensare un’opera compiuta e insieme incoraggiare quella che seguirà».

Nel compiere la sua scelta, prima individuando i quattro romanzi finalisti e poi selezionando il migliore, la giuria – composta da «dieci grandi lettori indipendenti» (critici e librai, ma pure figure esterne al mondo del libro) – deve però tenere conto di un’altra clausola del regolamento, che vede «nello stile e nell’immaginazione i criteri-chiave di attribuzione» ed esclude tassativamente le opere di auto-fiction. «C’è speranza che qualche premio statunitense o britannico adotti una restrizione analoga?», commenta Orthofer, e noi siamo con lui.

Solo il 29 maggio si saprà chi dei finalisti di quest’anno – Laurent Binet, Perspective(s), Grasset; Caroline Deyns, MURmur, Quidam; Nicolas Le Nen, Armistice, Editions du Rocher; Akira Mizubayashi, Suite inoubliable, Gallimard – porterà a casa il malloppo, ma nell’attesa possiamo immaginare i nomi più adatti, se mai un simile premio verrà importato in Italia. Di certo ha superato lo stadio di «mezza carriera» il bulgaro Georgi Gospodinov, eroicamente portato in Italia da Voland quando era ancora ignoto – e non per i premi importanti ricevuti negli ultimi anni, fra cui lo Strega europeo nel 2021, ma per un’ideale medaglia che gli è stata attribuita (è lui stesso a raccontarlo in una recente intervista sul Guardian) dal connazionale Hristo Stoickov, oggi allenatore e celebre ex attaccante, che ha paragonato l’International Booker Prize – vinto da Gospodinov nel 2023 – al Pallone d’oro. Con buona pace della grandeur francese, altro che «Naissance d’une oeuvre»!