La cultura più indomita e avanzata del Novecento meriterebbe il titolo che un filosofo marxista, Ernst Bloch, diede alla sua opera testamentaria, Experimentum mundi. E una ininterrotta sperimentazione di temi, problemi e di istituti formali furono in effetti le avanguardie artistiche e politiche del secolo scorso alla cui irradiazione, anche nel dissenso, pochissimi scamparono. Fu in tutto un uomo del suo secolo Francesco Leonetti (Cosenza 27/1/1924 – Milano 17/12/2017) il cui centenario richiama la figura di sperimentatore acerrimo, di intellettuale engagé portato costantemente a registrare gli strumenti cognitivo-espressivi e così la propria posizione etico-politica. Ebbe grandi maestri (su tutti Pier Paolo Pasolini e, successivamente, Elio Vittorini) di cui si sentì tuttavia un sodale e compagno di strada.

FORMATOSI A BOLOGNA, nel Liceo Galvani insieme con lo stesso Pasolini e Roberto Roversi, poi, coscritto dai bandi sciagurati di Salò, fu colpito da una granata mentre scavava trincee sotto Cassino e ne ebbe compromesso per anni l’udito. Insegnante, bibliotecario, si divideva fra il caffè Zanarini al Pavaglione (in cui teneva perpetua conversazione il filosofo anti-crociano e marxista Galvano della Volpe) e la libreria «Palmaverde» in via Caduti di Cefalonia, gestita da Roversi con il quale, assieme a Pasolini e Gianni Scalia, fra il ’55 e il 59 redasse «Officina», rivista che si opponeva tanto al novecentismo arroccato degli ermetici quanto a un neorealismo depauperato e talora ridotto a fiancheggiamento politico: intento programmatico della rivista era la contaminazione di poesia e prosa nonché la ripresa dei «maestri in ombra» del primo Novecento, da Rebora a Jahier, da Saba a Gadda.

Di una simile temperie, cui Leonetti porta il fervore e l’assillo di essere sempre all’altezza del proprio tempo e delle sue contraddizioni, sono già testimonianza sia i racconti di Fumo, fuoco e dispetto (’56) sia il romanzo di formazione Conoscenza per errore (’61, poi con varianti strutturali 1978) e le poesie raccolte in La cantica (’59), dove ai moduli dell’espressionismo secolare (Dante, Tommaseo, Rebora ne sono gli antecedenti) cioè allo stile scheggiato e pietroso si unisce la libertà inventiva che mescola biografia e riflessione etico-politica in clausole aspramente gnomiche.

DUNQUE IL GIOVANE Leonetti è un intellettuale materialista che lavora sui nessi fra dentro e fuori della percezione, tra l’analisi dello stato di cose presenti e le tracce riflessive ed emotive che di lì provengono. Con sensibilità vibratile, Leonetti reagisce allo stato di turbolenza che annuncia il Boom economico e prepara la rivoluzione neocapitalista, avvicinandosi alle avanguardie artistiche e politiche: fondamentale è per lui il sodalizio e la collaborazione che mai verrà meno con un grande artista, lo scultore Arnaldo Pomodoro.
Non è casuale negli anni sessanta la decisione di trasferirsi a Milano, vicino a Elio Vittorini, per conto del quale prepara una rivista internazionale che purtroppo non uscirà, «Gulliver» (basti pensare che fra gli altri Italo Calvino, Uwe Johnson, Gunter Grass erano della partita) e nemmeno è casuale, in dissenso con l’amico Pasolini, il suo avvicinamento alla neoavanguardia e la partecipazione ai lavori del Gruppo 63.

Ciò nonostante, Pasolini coinvolgerà Leonetti nel film-apologo dove tratta il periodo di crisi fra Miracolo economico e ripiegamento del movimento operaio, Uccellacci e uccellini (’66): nel film Leonetti non compare e però presta la sua voce al corvo socratico che spiega il mondo a Totò e Ninetto Davoli, due pìcari che se ne vanno a zonzo nelle periferie di colpo divenute il centro del mondo, o viceversa. (Più tardi, ricomponendo la propria autobiografia, lo scrittore vorrà darle proprio il titolo di La voce del corvo (1940-2001), DeriveApprodi 2001).

MA SONO ANCHE, per Leonetti, anni di un rinnovato e presto integrale impegno politico vicino ai gruppi che preparano il Sessantotto e poi il decennio dell’antagonismo sociale e politico. Lo scrittore studia il marxismo (e qui è decisiva la presenza della sua compagna Eleonora Fiorani, autrice del notevole Fiedrich Engels e il materialismo dialettico, Feltrinelli 1971), milita nei gruppi marxisti-leninisti, è attivo in «Servire il popolo», si ritrae dall’industria culturale, smette di pubblicare testi letterari, torna all’insegnamento (prima Filosofia al Liceo Berchet poi Estetica all’Accademia di Brera), infine dà vita a una rivista dall’insegna leninista, «Che fare», e si occupa del catalogo della casa editrice Lavoro liberato.

AL DI LÀ DELL’IMPEGNO politico, che siano anni per lui di grande ardore esistenziale e, in ogni senso, di sperimentazione ininterrotta è riprova una delle opere sue più felici che, pur nella struttura asistematica e nell’apparente svagatezza, sa restituire la qualità dei tempi, il romanzo corale Irati e sereni (1974), mai riproposto dall’editoria e mai entrato nel senso comune dei lettori. Negli anni duri del terrorismo lo scrittore è coinvolto in alcune vicende giudiziare e si ammala gravemente: ne sono specchio diverse opere di riflessione e di bilancio, al tempo del riflusso, quali il romanzo Campo di battaglia (’81) e le raccolte poetiche Percorso logico del ‘960-’75. Poema (’76) e In uno scacco (nel settantotto) (’79), tutte edite da Einaudi che presto smetterà comunque la stampa dei suoi testi con la felice eccezione, ma molto più avanti, del libro a due voci Il leone e la volpe (Dialogo nell’inverno 1994) firmato da Leonetti con un altro dei suoi grandi compagni di via, il romanziere Paolo Volponi.

Un estremo sussulto dell’estro sperimentale, la volontà pervicace di non arrendersi alla dittatura finanziaria e mediatica o insomma alla restaurazione capitalista che anche in Occidente utilizza oramai la democrazia come una opzione fra le altre, pervadono le opere della vecchiaia che sono pubblicate dal suo editore elettivo, Manni di Lecce, testi dove ora prevale il gesto polemico e l’invettiva ora invece la riflessione e la clausola sapienziale, fra gli altri Palla di filo (’86) e I piccolissimi e la circe (’98) cui da ultimo va aggiunta l’antologia dell’opera in versi Sopra una perduta estate. Poesie scelte 1942-2001 (NoReply 2008).
In occasione del centenario della nascita esce adesso una plaquette che contiene, in edizione diplomatica, l’inedito intitolato Il vecchio col bastone (postfazione di Aurora Donzelli, Fondazione Arnaldo Pomodoro, pp. 61, euro 10.00) a cura di uno studioso, Marco Rustioni, già firmatario della monografia Il ‘caso Leonetti’: utopia e arte della deformazione (Pacini 2010).

SI TRATTA di un prosimetro e appunto vi si alternano prosa e versi; con ogni probabilità redatto a cavallo del 2007, presto abbandonato e in parte rifuso in testi ulteriori, lo scrittore vi ragiona intorno alla vecchiaia, ai suoi limiti fisici e cognitivi, tuttavia rinunciando a scrivere un De senectute stoico e ribadendo la volontà di essere nel mondo, di entrare in relazione e in conflitto intellettuale con i tempi che gli sono dati, come bene significa il rammarico iscritto in un’ultima clausola: «Perché non sono un albero nel bosco? con la sua chioma rivolta nel cielo,/ la sua bellezza, varietà, durata».

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SCHEDA. Iniziative e omaggi «Fuori dai margini»

«Fuori dai margini. Cent’anni di Francesco Leonetti» è il titolo che raggruppa una serie di incontri inaugurati da «Le ragioni del pensiero poetante» (incontro con i poeti) nella Biblioteca Vavassori Peroni di Milano lo scorso 30 gennaio in occasione dell’uscita de Il vecchio col bastone edito dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro. Si prosegue in primavera con due incontri alla Fondazione Mudima di Milano (8-9 maggio): «Il senso in comune» (sulle riviste come modalità di produzione culturale fra Novecento e nuovo millennio) e «Lavoro liberato» (riflessioni sulla trasformazione tardocapitalista del lavoro). Sono previsti due altri incontri, l’uno a settembre nel Collegio Borromeo di Pavia («La lunga arte: sulla collaborazione con Arnaldo Pomodoro») e l’altro in dicembre sul film «Processo politico» (1970) in una sede ancora da definire. (ma. ra.)