Francesco Del Prete, le convergenze di un violinista
Incontri/L’artista ha da poco pubblicato il suo ultimo album, «Cor Cordis» «Sento forte da sempre l’esigenza di costruire basi armoniche, ritmiche, timbriche, utilizzando anche l'elettronica, sulla quale improvviso»
Incontri/L’artista ha da poco pubblicato il suo ultimo album, «Cor Cordis» «Sento forte da sempre l’esigenza di costruire basi armoniche, ritmiche, timbriche, utilizzando anche l'elettronica, sulla quale improvviso»
Francesco del Prete, poliedrico violinista e compositore ricerca sonorità inedite e sempre nuove attraverso l’utilizzo dell’elettronica e del suo violino a cinque corde.
Il suo ultimo progetto intitolato Cor cordis, edito nel 2021 per l’etichetta Dodicilune dimostra maturità compositiva e un pensiero sempre aperto al sincretismo e alla convergenza di nuovi linguaggi. Il suo percorso musicale rievoca i nostalgici echi di un interminabile viaggio nella musica attraverso l’Italia, il Giappone, la Francia, la Grecia, la Germania, la Svizzera, la Slovenia, attraverso la sua più che variegata (proficua) collaborazione con: l’ensemble de La Notte della Taranta (al fianco di artisti del calibro di Stewart Copeland, batterista dei Police, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Piero Pelù, Teresa De Sio, Gianna Nannini, Ares Tavolazzi, Mauro Pagani, Vittorio Cosma, Franco Battiato, Ambrogio Sparagna, Giovanni Lindo Ferretti), Arakne Mediterranea, Nidi d’Arac, Manigold, Demotika Orkestar. Lo abbiamo raggiunto per parlarne insieme.
Nel tuo lungo percorso artistico e compositivo hai maturato una ricerca sonora che soltanto in parte, approda al tuo violino elettrico a cinque corde. Potresti parlarcene?
Sono un violinista laureato in Conservatorio, con studi classici alle spalle. Immediatamente, però, mi sono reso conto di essere un «comunicatore» e quindi di dover rapire l’attenzione di chi mi ascolta nella maniera più diretta possibile. Il violino, fortunatamente e sin da subito, per me, si è dimostrato uno strumento versatile. Non a caso, la mia modalità di comunicare attraverso il linguaggio musicale, bagna le radici soprattutto nell’impianto ritmico, aspetto centrale del mio pensiero compositivo e improvvisativo. Da questa mia ricerca nasce l’esigenza di costruire basi armoniche, ritmiche, timbriche, utilizzando anche l’elettronica, sulla quale improvviso.
Nel tuo approccio all’idioma compositivo, essendo autore di tutti i brani dei tuoi dischi, si avverte una grande sensibilità alle immagini e quindi una vicinanza alla sinestesia nella tua ricerca stilistica…
Vero. Tutto questo accade in modo molto naturale, riesco ad immaginare un suono, una suggestione. In Gemini, ad esempio, ho immaginato uno stato d’animo insieme alla luce della mia terra e del mare. Così come accade per il brano Gnomo. A breve verrà realizzato un video da Ermes Mangialardo, riprendendo l’idea della famosa linea sulla lavagna che dona vita a una creatura animata e si appropria dello spazio visivo.
Il tuo nuovo disco «Cor cordis» molto ha a che fare con il tuo progetto di diversi anni addietro Corpi d’Arco…
Per il progetto Corpi d’Arco era come se stessi tracciando un disegno con l’archetto nello spazio. I titoli dei brani di questo disco tornano a parlare per immagini: Rosso di tango, Arpeggio di lune… In questo disco, inizio a tracciare una mia modalità compositiva, indipendente anche dalle dinamiche di scrittura che possono coinvolgere un ensemble. Libertà creativa senza limiti e molte responsabilità nel ricreare una base armonica e ritmica di senso, utilizzando unicamente il violino. Questa intenzione è poi confluita in Cor cordis, un concept album che nasce dalla necessità di non accontentarsi delle maschere che indossiamo. Tutti i titoli di questo progetto hanno a che fare con identità, bellezza, natura dell’uomo e di ciò che ci circonda e infine l’incedere del tempo.
Nei tuoi progetti discografici l’idioma legato alla musica folk del mondo, rimaneggiata nel tuo stile, mai dimentica la bellezza della forma canzone…
La bellezza della scrittura musicale mi ha trasmesso la passione per le «forme» compositive. In questo caso anche per la forma canzone. Se impari a smontare il linguaggio musicale anche attraverso la scrittura, ti rendi conto che dietro esiste e palpita un pensiero, spesso profondo e ampio. Anche John Coltrane, quando improvvisava, rispettava le regole dell’armonia, portandole poi a un livello superiore.
Ciò che scopriamo del mondo è quello che abbiamo già dentro. Ci disse Giorgio Gaslini in un primo incontro con lui. Cosa vuol dire, per te, seguire la tua vocazione intellettuale e artistica?
Non mi faccio queste domande. Credo che sia l’arte in sé ad operare nella misura in cui l’amore si trasforma in azione. Il mio atto d’amore verso la musica lo esprimo attraverso il gesto creativo che vivo anche attraverso il corpo. Noi violinisti, poi, siamo molto cerebrali, anche per il range sonoro che abbiamo a disposizione. Per questo motivo ho deciso di utilizzare una quinta corda che mi abbassa di una quinta il range e che quindi mi permette di usare vibrazioni dai toni più scuri. Sto pensando di incominciare ad utilizzare anche un violino a sette corde per i prossimi progetti.
In questo tuo ultimo disco, e in modo particolare, suggestioni attinte al mondo del sinfonismo romantico vengono trasfigurate in armonie che dilatano lo spazio attraverso la ripetizione, penso alla musica minimalista di Terry Riley, Charles Ives, La Monte Young…
La loop machine, che sovente utilizzo, mi porta a lavorare per «frammenti».Cerco di delineare un senso musicale che prenda le giuste distanze da un effimero scopo. Sono sicuramente influenzato dallo spirito romantico.
Anche l’idioma compositivo del jazz, da sempre, accompagna la tua ricerca stilistica.
Mi sono avvicinato al mondo del jazz naturalmente. Nel momento in cui ho capito che quello che facevo era improvvisare, mentre studiavo dagli spartiti di musica classica. Cosa assolutamente proibita dai maestri del Conservatorio. Poi, dopo diversi anni dal mio diploma in strumento, ho deciso di laurearmi in jazz. Lo swing, ad esempio, mi ha sempre donato una scossa di energia incredibile, ricordo la prima volta che ascoltai questo genere da ragazzino… un nuovo universo. Un linguaggio, uno stilema che ho sempre avvertito attivando il corpo.
LA BIOGRAFIA. DAGLI STUDI CLASSICI AL JAZZ
Francesco Del Prete inizia il suo percorso violinistico con gli studi classici per poi appassionarsi al mondo della musica etnica in generale e jazz in particolare, passioni che lo portano a ricercare sonorità inedite e modi alternativi di utilizzare lo strumento e di svelarne i lati nascosti anche attraverso l’utilizzo dell’elettronica. Da questa ricerca hanno preso vita i suoi tre principali progetti: Corpi d’Arco, per violino solo e pedaliere (il disco omonimo è stato pubblicato nel 2009); Respiro, originale duo elettropop violino e voce; Francesco Del Prete Jazz Ensemble, il cui primo disco, Colibrì, è stato pubblicato nel 2018. Il suo percorso musicale rievoca i nostalgici echi di un interminabile viaggio nella musica attraverso l’Italia, il Giappone, la Francia, la Grecia, la Germania, la Svizzera, la Slovenia, attraverso la sua più che variegata (proficua) collaborazione con l’ensemble de La Notte della Taranta (al fianco di artisti come Stewart Copeland, batterista dei Police, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Piero Pelù, Teresa De Sio, Gianna Nannini, Ares Tavolazzi, Mauro Pagani, Vittorio Cosma, Franco Battiato, Ambrogio Sparagna, Giovanni Lindo Ferretti), Arakne Mediterranea, Nidi D’Arac, Manigold, Demotika Orkestar. (m.g.b.)
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