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Franca Schininà obiettivo al limite

Franca Schininà obiettivo al limiteFoto di Franca Schininà

Fotografia «Potevo usare il tele, ma fuggii avanti, fino a fotografare quel palestinese buttato faccia a terra con il piede sulla schiena»

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 20 settembre 2014

Succede una sera d’estate di credere di trovarsi in Sicilia. Sul
bordo di uno dei sud del mondo, lembi di una periferia apparentemente
“scollegata”… eppure stiamo attraversando le stanze di un
raffinatissimo castello, in bilico tra cinema e Storia: quello di
Donnafugata a Ragusa.

Invece. Sarà l’effetto delle stelle che,
fregandosene, continuano a brillare giganti, quelle stanze schiudono
immagini su immagini: rigoroso bianco e nero, buio e luce terra e cielo,
come creta di opposti che si cercano. Nella prima siamo ancora qui, per
quelle strade dove da 100 anni “furria”l’anima di Germi, poi nel tempo
esiliato di un ospedale psichiatrico, quindi, a “prima vista”, sempre
più lontano, mentre le geografie umane, i volti, i campi lunghi, si
propagano come cerchi nell’acqua: Romania, Etiopia, Madagascar, Mali,
Tanzania, Brasile, Costa Rica, Perù, e ancora Yemen, India, Palestina,
Israele … E siamo qui adesso, e insieme altrove, presi per la giacca,
“caduti fuori dal tempo”, dove guardare e guardarsi cerca altre vie
dalla violenza, dal dominio, dall’insensibilità.

La mostra,
amplissima, 265 foto, si intitola “Camminando per il mondo …”, partitura
aperta su oltre 30 anni di lavoro e di viaggi compiuti da Franca
Schininà, fotografa e attivista per i Diritti Umani.

Già quella sera
parliamo una prima volta, percepisco la sua passione militante per
l’umano. A suo modo e con travaglio, ha cercato di smussare quella
dissintonia tra il fotografare e l’intervenire su cui si interrogava
Susan Sontag: collaborando con associazioni e ong in grado di aprirle un
contatto profondo con luoghi e persone, miscelando gli scatti
all’occuparsi dei bambini, all’aggiustare tetti o all’andare al mercato
a comprare una mucca. Da sempre una sportiva, mi racconta di aver
montato una vita a cavallo, “era le mie gambe”, mentre io sento che i
suoi pensieri _sono_ le sue azioni e che questa fluidità va contagiata!
Discutiamo della pace che oggi atrocemente sembra non esistere. Pure mi
racconta di averla interiormente conosciuta, e di sapere come tornarci.
Attraverso la fotografia.

_RACCONTACI LA GENESI DELLA MOSTRA, ANCHE
ALLA LUCE DEL RISCONTRO DI CHI L’HA VISITATA.___

All’inizio c’è stato
semplicemente il desiderio di raccogliere fondi per l’associazione
animalista di cui faccio parte. Poi, ovviamente, andando avanti, ci
siamo chiesti che cosa avrebbe significato, sia pure “solo” guardando,
fare questo “viaggio unico” attraverso tanti luoghi del pianeta. Ero
perplessa. I miei lavori non sono per nulla allegri e concepirne un
tracciato così ampio significa sommare dolore a dolore, sporgersi sul
baratro delle storture che ho denunciato in questi anni. Il mondo è così
indifferente e temevo di scontrami con un muro. Invece c’è stata una
partecipazione attenta, direi coraggiosa: lasciando un ricordo sul
diario della mostra, una ragazza diciottenne ha scritto, questa sera
forse non potrò dormire, questa sera forse piangerò e penserò.

_PICCOLA CRONISTORIA DEL TUO INCONTRO CON LA FOTOGRAFIA. _

L’incontro con me stessa. Ero giusto “nel mezzo del cammin di nostra
vita”, quando, sostenendo che avevo già tutto, mi regalarono una
macchina fotografica. “Tutto” significava beni materiali, dunque, a mio
modo di sentire, nulla o quasi. Invece con la macchina tra le mani capii
di avere finalmente il mezzo per tirar fuori quello che avevo conservato
dentro sin dalla mia infanzia, che non potrei dire sia stata felice. Poi
c’è stato il mio primo e unico corso di fotografia con Giuliana
Traverso. Ci disse che una donna che fotografa punta l’obiettivo contro
se se stessa. E ancora: cercate la vostra strada per non trovarvi alla
fine sul bordo estremo di una panchina vuota. Mi trafisse. Quindi il
lavoro a fianco di Peppino Leone, nel frattempo studiavo e scoprii la
mia attitudine al bianco e nero e al reportage …

_IL PRIMO VIAGGIO DA
FOTOGRAFA?_

Fu turistico. Mi trovavo in una riserva indiana
nell’America occidentale, quando ebbi il primo “blocco viscerale”,
scattando una foto a una donna anziana. Lei mi mostrò la sua casa, le
fotografie di quando era giovane col marito, un capotribù elegantissimo.
Mi resi conto che erano un re e una regina e, nonostante la loro
saggezza, erano reclusi in quel posto orrendo. La guida ci aveva chiesto
di dare un dollaro per ogni immagine. Fui folgorata. Capii che stavo
pagando l’anima di quella donna, guardai i suoi occhi e mi vergognai di
quella elemosina, poi le misi un altro dollaro in mano, un altro e
ancora: ci abbracciammo in lacrime. Fu come affacciarmi sull’abisso
dell’ingiustizia, tsunami per cui il 10% della popolazione detiene l’85%
delle risorse del pianeta. Qualcosa da far conoscere e urlare con tutta
la voce che si ha in corpo.

_GIÀ SOLO LA STANZA DEDICATA A PALESTINA E
ISRAELE TRASMETTE UNA TENSIONE INSOSTENIBILE. COME TI RAPPORTI ALLA
PAURA, A QUEI LUOGHI TALMENTE IN BILICO DA METTERE A RISCHIO ANCHE LA
VITA DI CHI FOTOGRAFA? _

Quando a Gerusalemme antica i poliziotti
israeliani presero quel ragazzo palestinese della foto, ero con
un’amica: lei si infilò dentro a un portone. Io potevo restare indietro,
fotografare col tele (teleobiettivo, _ndr_), ma fuggii avanti,
infilandomi tra le gambe dei ragazzi israeliani che guardavano, fino a
fotografare quel palestinese buttato faccia a terra con il piede sulla
schiena. Quando hai voglia di scoprire la verità, nulla ti può fermare.
Bob Capa era lì, Eugene Smith era lì, dove dovevano essere. Non so se il
mio è coraggio, ma non ho avuto paura nemmeno nelle situazioni più dure,
nello Yemen in guerra, di notte in Perù inseguita dalla polizia… Credo
che l’amore possa andare oltre la paura. La sera mi fermo a dare da
mangiare ai randagi, anche in zone isolate. Mi aspettano, non mi hanno
mai aggredito.

_GIUSTO PRIMA DI INCONTRARCI, SONO STATE DIFFUSE LE
IMMAGINI DI STEVEN SOTLOFF, IL GIORNALISTA UCCISO DALL’ISIS, IN
GINOCCHIO ACCANTO AL SUO FUTURO ASSASSINO INCAPPUCCIATO, DUNQUE SENZA
VOLTO… DI FRONTE A QUESTA PALESE INCITAZIONE ALLA VIOLENZA, ALLA
CONNIVENZA, ALLA DISUMANIZZAZIONE COLLETTIVA, A QUESTO VORTICE DI
IMMAGINI/ARMI ANNIENTANTI L’INDIVIDUALITÀ, COSA È PER TE PORTI “DAVANTI
AL DOLORE DEGLI ALTRI”, IL VIS À VIS._

È un dialogo fatto di
percezioni sottili, proprio come l’interazione con i cani (per me non è
“blasfemo”dirlo). Quello che passa tra chi fotografa e chi è
fotografato, si fiuta, al di là delle parole, si comprendono le
intenzioni, se c’è rispetto o il pensiero di prevaricare, violentare. Il
vis à vis è una danza a due: a volte , poco prima dello scatto, la
persona si predispone a un’espressione un istante prima impensata. Come
quella donna anziana siciliana che vedi lì: quando mi sono avvicinata,
si è protesa verso il vetro, come volesse urlare.

_LE DIDASCALIE SONO
SCARNE, MA IN ALCUNE STANZE HO NOTATO INTARSI DI TESTO E LA SEZIONE
PALESTINESE È COMBATTENTE, MOLTO INTERATTIVA. _

Non amo le didascalie,
desidero che la gente risponda alle immagini in base alla propria
sensibilità, senza compassione, responsabilmente. A stento ho messo una
targa coi nomi dei Paesi fotografati, non focalizzo nemmeno la data,
cerco l’universale. In certi casi però ho fatto eccezione, come per le
immagini della Palestina in mostra a Torino, grazie a Donne in nero.
Questo perché la Palestina è talmente mal raccontata, talmente ha
bisogno di chiarezza, che ci sono persone che non sanno cosa sia un
check point o che credono che un campo profughi sia un albergo a 7
stelle. Del resto la cattiva informazione fa comodo anche a chi le
presta fede. Perché nel momento in cui sai cosa fanno alle persone, ai
bambini, se sei un Uomo o una Donna, non puoi rimanere inerte, non
chiedere perdono per quello che abbiamo fatto e continuiamo a fare.

_HAI INSERITO UN TUO TESTO DEDICATO A VITTORIO ARRIGONI (NE SEGUE UNA
PARTE)._

“Conobbi Vittorio … quando mi recai in Palestina …

Ritornai in Italia sconvolta … Sì, perché non assistemmo ad altro, in
quei giorni, che a soprusi, ingiustizie, malvagità … del popolo
israeliano, molto ben armato, nei confronti di un popolo debole e
indifeso, giustificati da menzogne e falsità, avallate dai paesi
occidentali …. In tutto questo contesto si stagliava la figura di
Vittorio: un ragazzo educato in maniera diametralmente opposta, al
rispetto della giustizia e dei valori umani …”.__

L’ho incontrato, sia
pure per pochi minuti. Ho conservato tutte le mail che mi inviava dal
blog Guerrilla radio, le foto di quel periodo, la testa di una bambina
che usciva dal pavimento … Se pensi a un Vittorio Arrigoni, non ti puoi
fermare.

MARIA_GROSSO_DCL@YAHOO.IT

Biografia

Nata a
Caserta, in questo “infinito viaggiare”, Franca Schininà ha sempre
abitato a Ragusa. Nell’83 il primo reportage “Emarginazione e
solitudine”, che nel ’99 parteciperà alla Mostra “000 Mondo della follia
e oltre”, Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, Palermo. Sempre nel ’93
pubblica _Fin qui sei giunto …_ immagini dal Tibet. Nel ’96 esce invece
_Un silenzio attorno a una voce_, testimonianze da Lofoten alla Sicilia,
dalla Patagonia all’Africa… Nel 2001 è scelta dall’Istituto Italiano
Buddista Soka Gakkai per una mostra sui Diritti umani. Nel 2002 lavora
per il calendario Unicef, Progetto Zambia, bambini orfani dell’Aids. Nel
2003 è al 4º World Summit of Nobel Peace Laureates, Roma. Nel 2004 esce
_Sete d’Africa_, i cui proventi finanziano diversi progetti africani.
Nel 2006 su commissione dell’International Organization Migration e
PARADA realizza “I ragazzi di Bucarest”, nel 2007 sulle orme di padre
Tiziano Sofia, “Pasqua in Guatemala” e “On the road”, nel 2009 è in
Palestina con Pace e Giustizia.

La mostra “Camminando per il mondo …”,
Castello di Donnafugata, Rg, visitabile fino al 26 sett. 2014, prevede
progetti nelle scuole. Per info fondazionedegliarchi@gmail.com [1] e
www.franca-schinina.it, Comune di Ragusa. (Proventi all’Associazione
Iblea per i Diritti degli Animali).

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