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Frammenti di bottone, quel che resta del popolo che ha perso la speranza

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Berlinale In gara il film di Patricio Guzman «El Boton De Nacar», sul dramma dei nativi in Patagonia

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 10 febbraio 2015

Guardando in macchina Gabriela alla domanda come si dice dio nella sua lingua, dopo breve esitazione risponde che questa parola non c’è. E polizia? Nemmeno. Gabriela è una delle venti sopravvissute del «Popolo del sud», le tribù native che abitavano la Patagonia, distrutto dal colonialismo (come delle missioni cattoliche) che gli ha tolto le terre, li ha costretti a vestire abiti occidentali, dall’alcolismo, miseria e malattia, li ha condannati e chiamati mostri nei racconti dei colonizzatori. Gli ha dato la caccia e fatto a pezzi vendendo i loro corpi, gli ha tolto la lingua e la dignità. Erano anche il popolo dell’acqua, della loro sapienza antica, profondamente legata al cosmo, restano tracce nei disegni e nelle pietre che fabbricavano. Patricio Guzman ritorna alla Storia cilena, quasi proseguendo la linea tracciata nel precedente Nostalgia della luz nella composizione di una cartografia del territorio attraverso al quale narrare la Storia.

Li era il deserto di Atacama, qui sono l’acqua e i ghiacciai della Paragonia, l’oceano solcato dalle navi dei conquistatori dove la dittatura di Pinochet ha gettato i corpi dei dissidenti, tutti quelli che avevano creduto nel cambiamento di Allende. Il programma comprendeva anche la restituzione della terra ai nativi, una cosa per la quale in alcuni paesi dell’America latina ancora oggi ( lo dice con lucida precisione Daniele Incalcaterra nel suo El impenetrable) si muore.

El Botón De Nácar, Il bottone di perle, commuovente anche per l’ostinazione con cui il regista, oggi settantenne, continua nel suo lavoro di ricerca per opporre a una memoria fallace una Storia fatta di connessioni confermando l’energia di un cinema cileno a più voci e generazioni.
Hanno ragione dunque i giovanissimi berlinesi che srotolano su Potszdamer Platz il loro striscione:

«Vogliamo un artista alla direzione» firmato gli student della DFFBA, ovvero la scuola di cinema e di televisione di Berlino da dove è uscito quasi tutto il nuovo cinema Tedesco degli anni Novanta, come Christian Pertzold, dove insegnava Haroun Farocki, aperta negli anni Sessanta (lo abbiamo visto in Une jeunesse allemande, e a quegli studenti questi con l’eskimo e la richiesta di una scuola «non borghese» somigliano un po’) che, spiegano i ragazzi, è senza un direttore da un anno e sul nome del prossimo c’è totale mistero. L’ultimo è stato Jan Schutte, regista degli anni Ottanta, prima di lui c’era Harmut Bitomsky, sperimentale radicalissimo (in effetti una bella differenza), gli studenti vogliono portare la protesta nel panel dedicato al cinema tedesco previsto per oggi. «La cultura è penalizzata, noi vogliamo una buona scuola e invece il rischio è che si chiuda» dicono ancora. Un altro degli effetti del rigore?

Torniamo a Guzman e al suo bottone di perle, una manciata ne era bastata ai coloni inglesi per prendere le terre agli indios, e uno di loro, personaggio di Verne che il regista leggeva da ragazzino, col nome di Jemmy Buttom era stato portato in Inghilterra, aveva viaggiato secoli, ed era divenuto un inglese. Poi lo avevano portato di nuovo nella sua terra ma lui anche se aveva fatto crescere barba e baffi non poteva essere più quello di prima. Dunque cosa ci dice di fondo il regista? Che un paese nato sullo sterminio del colonialismo non poteva avere una sorte felice, e a distanza di secoli sull’isola di Dawson nella quale avevano deportato i nativi imprigionano i dissidenti per torturarli e eliminarli.

L’andamento di questa nuova investigazione è semplice, quasi didattico, e se Nostalgia de la luz insisteva più sul tono saggistico, Il bottone di perla segue un movimento più emotivo seppure secco, senza cedimenti retorici. Ci sono i sopravvissuti alla dittatura, i loro avvocati delle famiglie che in fondo al mare cercano ancora i resti dei morti, dissolti nell’acqua e di cui resta solo un bottone, un altro bottone di perla, i poeti, gli storici. Ogni frammento di questo diverso cosmo si incastra con l’altro, e risponde alla necessità del regista: che e’ quella di non cedere al presente, di continuare a cercare risposte a un passato rimasto sospeso, fluttuante, senza una reale assunzione di responsabilità da parte di chi quei crimini li ha commessi e Pinochet lo ha sostenuto, non solo i ministri e l’esercito.

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