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Fraenkel, seminario alla tedesca a Oxford

John Flaxman, Lamento sulla morte di Agamennone, 1880, dall’Agamennone di EschiloJohn Flaxman, Lamento sulla morte di Agamennone, 1880, dall’Agamennone di Eschilo

Fraenkel e l'Agamennone di Eschilo Nel 1933 Eduard Fraenkel fu bandito dall’università tedesca. Accolto nel Regno Unito, insegnò latino al Corpus Christi College, «importando» un metodo di ricerca ancora sconosciuto agli inglesi. Dai seminari sull’«Agamennone» (’36-’42) scaturì il memorabile commento pubblicato nel ’50

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 25 agosto 2024

Si racconta che Giorgio Pasquali fosse solito dire ai suoi studenti: «se avete perso il fazzoletto, provate a cercarlo nel commento di Fraenkel all’Agamennone: lì c’è tutto». Era uno scherzoso riconoscimento dell’eccezionalità di un’opera che, alla metà esatta del Novecento, segnò un passaggio memorabile nella storia degli studi classici. Un libro stupefacente, nato dall’incontro di due nobili tradizioni di studio: quella della grande filologia tedesca di inizio Novecento e quella, assai diversa, coltivata nei colleges universitari inglesi. Quel frutto eccezionale nacque per altro da una vicenda personale dolorosa.

Nato nel 1888 a Berlino da un’agiata famiglia ebrea, Eduard Fraenkel aveva compiuto i suoi studi sotto la guida di due giganti degli studi classici, il grecista Ulrich von Wilamowitz e il latinista Friedrich Leo. Dopo la dissertazione dottorale del 1912, dedicata alla commedia greca, Leo lo spinse a dedicarsi al latino. Il risultato fu il primo grande saggio, Plautinisches im Plautus (1922, tr. it. Elementi plautini in Plauto, La Nuova Italia 1960), che rivelò al mondo il talento del giovane studioso e diede avvio a una brillante parabola accademica che lo portò in cattedra prima a Kiel (1923), poi a Gottinga (’28) e a Freiburg im Breisgau (’31). Probabile punto d’arrivo sarebbe stata la cattedra di Berlino, come successore di Eduard Norden: ma la presa del potere da parte dei nazisti cambiò radicalmente la vita di Fraenkel. Nel febbraio 1933 l’applicazione del ‘paragrafo ariano’ lo bandì dall’insegnamento universitario, lasciandolo isolato e privo di risorse in un clima politico di crescente antisemitismo. Dopo alcuni mesi difficili, l’archeologo inglese J.L. Myres lo aiutò a ottenere una borsa presso il Trinity College di Cambridge. Qui Fraenkel si trasferì con la famiglia nell’estate 1934 e pochi mesi più tardi presentò domanda per la Cattedra di Latino al Corpus Christi College di Oxford. Nonostante la diffidenza di molti studiosi inglesi nei confronti dei colleghi tedeschi, la sua candidatura fu generosamente sostenuta da alcuni dei più grandi nomi dell’antichistica britannica (M. Bowra, A. E. Housman, H. Last, W.M. Lindsay) ed europea (E. Löfstedt, E. Norden, G. Pasquali, E. Schwartz, J. Wackernagel).

Un affettuoso tributo

Nel dicembre 1934 Fraenkel divenne dunque Professore di Latino a Oxford, ruolo che ricoprì sino al pensionamento, nel ’53. La generosità dell’istituzione che lo accolse fu ricambiata da un’attività di insegnamento di altissima qualità, destinata a esercitare un influsso enorme sulle giovani leve degli antichisti del Regno Unito. Il suo seminario sull’Agamennone di Eschilo, tenuto con regolarità dall’ottobre 1936 al marzo 1942, divenne presto una delle esperienze più stimolanti per gli studenti. Fraenkel importava infatti nel contesto oxoniense la forma didattica del Seminar cara alla tradizione universitaria tedesca entro la quale si era formato. I giovani undergraduates scoprivano un modo nuovo di affrontare l’opera antica: ogni seduta esaminava solo otto-dieci versi, con un eccezionale livello di approfondimento. Si aggiungeva l’emozionante esperienza di presentare una propria discussione di fronte a uno studioso di tale levatura. Da quelle lezioni germinò il commento, proposto alla Oxford University Press nel ’42 e pubblicato nel ’50, con un affettuoso tributo ai partecipanti ai seminari, indicati quali destinatari ideali del lavoro.

Il lavoro di Fraenkel era ispirato a due principî incrollabili. Il primo è che l’unico centro di interesse è il testo, che va costituito e interpretato lasciando a margine ogni elemento estrinseco. Si spiega così la scelta insolita di non includere nell’introduzione l’abituale discussione dei precedenti letterari del mito e dei diversi trattamenti offerti dagli altri tragediografi. Il secondo è la necessità di affrontare il testo nella sua globalità, verso per verso, senza tralasciare neppure le questioni più minute. A ciò si aggiunge il fatto che Fraenkel riconosceva di essere l’ultimo anello di una catena di studiosi che risaliva fino all’epoca umanistica, e avvertiva forte il bisogno di riconoscere a ciascuno di loro i meriti acquisiti e oscurati dal tempo. Questo lo portò a riprendere l’antico modello delle edizioni cum notis variorum, con citazioni ampie dai lavori dei predecessori e una splendida sezione dell’introduzione che ripercorre le edizioni di Eschilo dal Cinquecento ai primi del Novecento.

Nel commento ogni passo è l’occasione per operare indagini estensive su fenomeni di lingua, stile, metrica, prosodia, tecnica drammatica, in note straordinariamente ricche e destinate a diventare trattazioni standard di riferimento sulle questioni più varie. Particolarmente felici sono le notazioni sull’ordine delle parole, sul ritmo e sull’organizzazione delle frasi in cola (temi studiati da Fraenkel negli anni trenta, nei due saggi dal titolo Kolon und Satz), nonché la capacità di individuare la presenza, entro la dizione poetica, di espressioni riconducibili alla lingua quotidiana. Un altro germe fecondo è la convinzione che per la tragedia greca sia possibile ricostruire una «grammatica» della tecnica drammatica, cioè individuare una serie di costanti che ci rivelano le convenzioni sceniche su cui si basava il lavoro dei drammaturghi antichi. Da quell’intuizione deriveranno alcuni degli studi più importanti sugli aspetti performativi della tragedia greca del secondo Novecento.

Un vero gentleman nella scena delle stoffe purpuree

Tutto questo fa del commento all’Agamennone un tesoro inesauribile cui continuamente ricorre chiunque si interessi non solo di tragedia, ma in generale di poesia antica. A settantacinque anni d’età, esso mantiene intatta tutta la sua vitalità. Certo, non mancano aspetti che il tempo ha dimostrato caduchi, in particolare sul piano dell’interpretazione della tragedia. La lettura fraenkeliana della scena delle stoffe purpuree, ad esempio, con Agamennone descritto come un «vero gentleman» disposto a cedere alla richiesta pressante della moglie, applica inappropriatamente al mondo antico un’idea moderna dei rapporti fra i generi. Un altro punto discutibile è l’eccessiva tendenza a identificare le affermazioni del coro con ‘il pensiero di Eschilo’, ricostruendo una serie di idee teologiche attribuibili direttamente al poeta. Sull’autorità della voce corale e sulla sua coincidenza con le idee dell’autore gli studiosi nutrono oggi idee più prudenti.

La volontà di Fraenkel di ‘dire tutto’ è al tempo stesso il principale pregio e il principale limite di questo lavoro straordinario. Già all’epoca della pubblicazione alcune voci criticarono l’eccessivo accumulo di materiali, e ci si chiese se note così lunghe non finissero per soffocare il testo antico che dovrebbero illustrare. I delegati della Oxford University Press erano preoccupati per la mole del libro, che uno di loro, Kenneth Sisam, ebbe a definire un «mostro teutonico». L’approccio fraenkeliano appariva estraneo alla linea dei commenti oxoniensi pensati per avviare gli undergraduates, con annotazioni chiare ed essenziali, alla lettura dei testi classici (si pensi all’Ifigenia fra i Tauri di Maurice Platnauer, del 1938, o all’Elettra di John Dewar Denniston, del ’39). Solo sette anni più tardi, non a caso, vide la luce a Oxford un altro Agamennone, curato da Denys Page sulla base dei materiali lasciati da Denniston: un libriccino smilzo, dalle note sintetiche e acute, che si poneva programmaticamente come contraltare rispetto ai tre corposi volumi del precedessore.

Da allora gli studiosi si dividono su qual sia il modello migliore di commento, se quello ‘à la Fraenkel’ o quello ‘à la Denniston-Page’, e il capolavoro di Eschilo è stato oggetto di nuovi commentari dell’uno e dell’altro tipo. Chi scrive propende per la scelta di Fraenkel: ma anche chi sia convinto, come lo era l’amico e biografo Gordon Williams, che l’Agamennone di Fraenkel dia «un’idea sbagliata di come dovrebbe essere scritto un commento», non può che riconoscere con lui che quell’opera si colloca di diritto «tra i due o tre lavori più impressionanti di studi classici del Novecento».

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