Foucault, la rivoluzione e l’amore di un incontro
Scaffale Thierry Voeltzel, «Vent’anni e poi», per Meltemi. Fine anni Settanta, le conversazioni di un giovane militante della sinistra rivoluzionario con il filosofo
Scaffale Thierry Voeltzel, «Vent’anni e poi», per Meltemi. Fine anni Settanta, le conversazioni di un giovane militante della sinistra rivoluzionario con il filosofo
1975: un autostoppista ventenne sale sull’auto di un uomo con «la polo a girocollo», un uomo che avrebbe potuto essere suo padre e che non smette di fargli domande. 1976: i due, che sono andati sviluppando un’amicizia venata di erotismo, iniziano a registrare le loro conversazioni. 1978: le registrazioni diventano un libro. 2021: quel libro, grazie al lavoro di Mariconda e Petrachi, è reso disponibile in italiano da Meltemi. Il volume si intitola Vent’anni e poi (pp. 176, euro 15), l’autore è Thierry Voeltzel (il giovane autostoppista) e l’interlocutore più anziano (che volle rimanere anonimo: «Con il mio nome sopra, nessuno leggerà quel che dici») è Michel Foucault.
CLAUDE MAURIAC insiste che sia Foucault a intervistare Voeltzel, e il filosofo, come per i folli e i detenuti, lascia che sia il giovane militante della sinistra extraparlamentare e del movimento omosessuale a raccontare l’atmosfera del suo tempo, il suo rapporto con l’amore, la politica, la famiglia, il lavoro, la sessualità… Lascia che sia Thierry a prendere parola su un tempo sospeso non solo per lui, che non ha idea di cosa farà della sua vita, ma anche per Foucault, in bilico tra analisi dei dispositivi di potere e analisi delle tecnologie del sé, e per la sinistra radicale che, esaurite le spinte rivoluzionarie del Maggio ’68, comincia ad avvertire l’avanzare della «restaurazione generale».
Come sottolinea Lorenzo Petrachi nell’introduzione, amore e rivoluzione costituiscono gli assi portanti di questa conversazione. «Penso che se non avessi riflettuto politicamente non avrei mai provato a fare l’amore con quel ragazzo» ed «è stato per l’attività politica che ho provato più di quanto non avrei voluto». Assi affiancati e aggrovigliati con quello della critica dei processi di normalizzazione (nei sindacati, nel movimento omosessuale…) e a quello di un gioioso uso dei piaceri che si sottrae allo stereotipo del «militante triste». «Se dobbiamo attendere la rivoluzione, per parlare di piacere dovremmo aspettare a lungo». Non a caso, questo libro è intriso di freschezza, irriverenza e ironia (Thierry: «È molto divertente che tu mi faccia (…) le stesse domande di quel prete»; Michel: «Abbiamo registrato su questo nastro dove c’era un corso su Nietzsche (…). Beh, si tratta (…) di roba più interessante»).
IN UNA SORTA DI DIFFERENTE ripetizione del rapporto che corre tra Alcibiade e Socrate nel Simposio, rapporto che anticipa quello che sarà uno dei fuochi di interesse dell’ultimo Foucault, scopriamo l’agalma di entrambi gli interlocutori: il delicato farsi da parte del filosofo famoso e la «gentilezza profonda» del giovane rivoluzionario ben restituita dall’episodio in cui, nell’ospedale dove lavora, abbraccia un neonato appena morto e pensa «che l’averlo tenuto stretto (…) gli avesse ridato un soffio di vita».
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