Cultura

Fotografie coloniali e sguardi decoloniali

Fotografie coloniali e sguardi decolonialiErrardo di Aichelburg, Ascari della compagnia cannonieri, Eritrea, 1898-1903 ca. © Archivi Alinari, collezione album, Firenze

INCONTRI Anticipiamo dal seminario pubblico di venerdì a Firenze. Partendo dalle collezioni del Museo Nazionale Marubi di Scutari e degli Archivi Alinari

Pubblicato 25 giorni faEdizione del 18 settembre 2024

La storia coloniale italiana si sovrappone e intreccia continuamente con quella unitaria, alternando tentativi di espansione commerciale, trattati diplomatici, a battaglie e disastrose sconfitte. Missionari, esploratori, avventurieri, geografi ma anche archeologi, studiosi del mondo classico e fotografi alimentarono, in pieno clima positivistico ottocentesco, l’idea della nazione portatrice di una missione civilizzatrice nei confronti di popoli considerati «naturalmente» inferiori e, con l’avvento del fascismo, la retorica di un’Italia destinata a replicare la grandezza dell’Impero romano.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento l’interesse dell’Italia, non senza resistenze e titubanze parlamentari, si rivolse verso il Corno d’Africa, ideale punto di snodo dei nuovi traffici commerciali inaugurati dall’apertura del Canale di Suez nel 1869. Formalmente cominciata nel 1881 con l’acquisto della baia di Assab in Eritrea, l’impresa coloniale si estese anche alla Somalia ma nel tentativo di espansione verso l’Etiopia subì presto pesanti sconfitte a Dogali (1887) e Adua (1896).

QUESTI EVENTI rappresentarono uno smacco rispetto alla trionfante propaganda degli altri stati europei, che promuovevano la conquista dell’Africa come una semplice operazione militare, omettendo tutti gli episodi di resistenza da parte dei popoli occupati. Le due battaglie entrarono quindi nella memoria collettiva italiana, come testimoniato dall’odonomastica dedicata alle due località che fiorì da fine Ottocento, e furono presentate come il simbolo di sconfitte da vendicare, esempi di un eroismo di stampo classico, che richiamava quello dei soldati delle Termopili. Tale narrativa fu invece rifiutata da socialisti come Andrea Costa, che riconoscevano il diritto all’autodeterminazione dei popoli di stampo risorgimentale anche ai patrioti africani e si opponevano a uno sforzo bellico ed economico che avrebbe penalizzato i ceti più popolari, specie del Mezzogiorno.
Dopo una prima battuta d’arresto, l’impresa coloniale si estese ai territori della Libia nel 1911 per poi riprendere con maggiore intensità sia militare che mediatica durante il fascismo, che intraprese la Guerra d’Etiopia nel 1935-36 e l’occupazione dell’Albania nel 1939.

Nonostante l’occupazione coloniale abbia caratterizzato quasi cento anni all’interno della piuttosto breve storia nazionale, la Repubblica seppur nata dalla Resistenza ha vissuto processi di amnesia e afasia e avvallato la costruzione di retoriche apologetiche come quella degli «Italiani brava gente» (Del Boca). Negli ultimi anni numerose iniziative sono sorte dal lavoro di collettivi, associazioni, gruppi di ricerca o dall’interazione tra questi livelli, che hanno messo in luce le permanenze del passato coloniale nel nostro presente, guardando alle tracce nello spazio pubblico, nei monumenti e nell’odonomastica (si veda a questo proposito le esperienze del gruppo Resistenza in Cirenaica di Bologna e del progetto Amir a Firenze) ma anche nei testi, nei media, negli archivi.

L’ARCHIVIO COLONIALE può diventare quindi un oggetto di indagine privilegiato attraverso il quale recuperare il tessuto del colonialismo, rendendo visibili i suoi sistemi di classificazione e la creazione di gerarchie. Al suo interno la fotografia, che ha avuto origine parallelamente al progetto imperiale ottocentesco, ha fornito un potente mezzo per costruire il concetto stesso di razza, per plasmare una determinata visione dell’alterità coloniale, per alimentare la supremazia europea.
Le fotografie e i discorsi prodotti nel contesto coloniale hanno forgiato immaginari persistenti che abbiamo ereditato e talvolta acriticamente riadattato nel nostro presente. Per decostruire la naturalità e la neutralità dello sguardo coloniale, si è sviluppata quindi la necessità di riguardare alle collezioni fotografiche conservate in moltissimi istituti e archivi ma anche all’interno delle nostre case e dei nostri album privati (si veda ad esempio il progetto Memorie coloniali). Il lavoro necessario è quello di considerare queste immagini non come finestre sul passato ma come oggetti costruiti per un pubblico italiano, prodotti all’interno di un contesto caratterizzato da violenza, relazioni di potere sbilanciate, interessi politici e propaganda.
A Firenze, grazie a un’iniziativa promossa dal progetto Amir e dalla Fondazione Alinari per la Fotografia, ci sarà l’occasione per affrontare queste tematiche pubblicamente: non solo per riflettere a livello storico e critico sulle fotografie e il potere di costruzione di un immaginario, ma anche per interrogarsi su come trattare oggi questi materiali complessi, carichi di memorie conflittuali e plasmati sulla prospettiva del colonizzatore.

ATTRAVERSO IL DIALOGO con istituti di conservazione e tramite un laboratorio in collaborazione con il progetto Archivi in Rete dell’unità di ricerca LYNX (Scuola IMT, Lucca) dedicato alla collezione fotografica Guidotti conservata nell’Archivio Fotografico Lucchese, si proporranno pratiche di riuso dell’archivio fotografico, come spazio di negoziazione simbolica e di costruzione di nuovi punti di vista. L’archivio coloniale e più in generale i musei sono dunque intesi non come contenitori neutri, specchi fedeli di una realtà oggettiva ma come dispositivi che agiscono ancora, innescando pregiudizi e bias razzisti che dal passato si riverberano sulla società contemporanea.
Questo spostamento di prospettiva solleva di conseguenza la questione di fondo: chi è il soggetto che può prendere parola su determinati materiali, chi ha il potere di definire e rappresentare la cultura e la storia delle comunità, quali visioni e voci siano state escluse e marginalizzate, lavorando sul patrimonio culturale e le identità non come qualcosa di dato ma come il risultato di pratiche sociali, culturali, discorsive e soprattutto visuali.

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SCHEDA. «Uncomfortable tours»: gli incontri

A Firenze proseguono fino al 28 settembre gli incontri di «Uncomfortable tours. Itinerari e narrative dissenzienti Vol.3», il ciclo di visite e itinerari urbani gratuiti, curati da Stazione Utopia nell’ambito del progetto Amir accoglienza musei inclusione relazione. Venerdì alle 18 (Villa Fabbricotti), intervengono Emanuela Sesti, consulente scientifica della Fondazione Alinari; Lucjan Bedeni, Direttore del Marubi Museo Nazionale di Fotografia di Scutari; Agnese Ghezzi, ricercatrice in storia contemporanea e della fotografia, Scuola IMT Alti Studi Lucca; Chiara Damiani, Stazione Utopia e coordinatrice progetto Amir.

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