Visioni

Foster Wallace e lo specchio deformato dei rapporti tra due sessi

Foster Wallace e lo specchio deformato dei rapporti tra due sessiLino Musella e Paolo Mazzarelli in una scena di «Brevi interviste con uomini schifosi» – foto di Marco Ghidelli

Teatro «Brevi interviste con uomini schifosi» in scena fino al 13 febbraio all'India, per la regia di Daniel Veronese

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 11 febbraio 2022

Grande ressa di pubblico all’India (ancora in scena fino al 13 febbraio) per le Brevi interviste con uomini schifosi, versione teatrale dei racconti di David Foster Wallace, che pur non avendo mai scritto nulla per la scena, ha prodotto testi già naturalmente pronti a essere detti e impersonati. Dei dialoghi uomo/donna che compongono la raccolta originaria, in scena vanno solo otto su ventitrè, ma già sufficienti a disegnare spigoli e paradossi di ogni rapporto sentimentale e fisico di coppia.

A SCEGLIERE, ridurre e montare quegli «scontri d’amore», è stato il regista argentino Daniel Veronese, già noto e applaudito in Italia da quando una decina di anni fa arrivò fin qui l’onda potente del rinnovamento della scena di Buenos Aires (capeggiata da Rafael Spregelburd e Claudio Tolcachir). Lo stesso Veronese quindi è stato ora chiamato a mettere in scena per una vasta coproduzione italiana (capitanata dal Teatro di Napoli) questa edizione, che può contare innanzitutto sui due interpreti, Lino Musella e Paolo Mazzarelli, due solidi attori entrambi formatisi alla Civica Paolo Grassi di Milano e già abituati a lavorare in tandem (e il primo di loro è ampiamente considerato il migliore in Italia nella generazione dei quarantenni). I due interpretano in maniera alterna quanto sobria i ruoli maschile e femminile, perché tutti come dialoghi sono strutturati i racconti. Senza fronzoli o travestimenti (entrambi in jeans e maglia blu) i loro personaggi interloquiscono e si misurano, dal corteggiamento al massacro. Eppure dalla loro conflittualità, fatta di ricordi, citazioni, progetti futuri quanto illusori, cresce una determinazione che senza cadere mai nell’accanimento, addensa un grumo di pathos davvero feroce.

FORSE QUEI RACCONTI, che Foster Wallace pubblicò nel 1999, una decina d’anni prima di togliersi la vita, ma già affermato e acclamato come scrittore in tutto il mondo, oggi possono risentire di quanto in questi vent’anni è precipitata in avanti la questione dei rapporti tra maschile e femminile, quante mitologie e infingimenti (o «aggiustamenti») siano caduti sotto i colpi della realtà, del metoo e non solo. Quel rosario di racconti vale quasi più per comprendere la società americana che non il rapporto intricato ed evoluto tra i sessi in questa manciata d’anni. Tanto che se diversi episodi e situazioni sulla scena provocano facilmente il sorriso, il vero colpo, d’ala e di riso, è quello finale che fa riferimento all’eterno, antico quanto risaputo, complesso «di mammà».
Detto questo, è comunque impressionante quanto lodevole la tensione e l’abilità di condurre lo spettatore, in meno di un’ora e mezza, all’interno di quello specchio deformato che appaiono i rapporti tra i due sessi. La misura con cui Musella e Mazzarelli si muovono e centellinano le parole, non esprimono solo la bravura della dizione, ma una sorta di abilità diabolica di portare con forza e grazia il pubblico in quella ragnatela di violenza e ironia che quei rapporti ineluttabilmente si rivelano.

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