Neppure il tempo di cominciare. In Sicilia il centrodestra perde subito pezzi e rischia il Vietnam a ogni seduta parlamentare. Il governo formato da Renato Schifani, dopo un’attesa lunga 50 giorni, ha finito per creare più malumori che entusiasmi. Soprattutto tra i soci di maggioranza della coalizione: FdI e Fi. E così pochi minuti dopo il giuramento degli assessori all’Assemblea siciliana è andato in scena il primo psicodramma della legislatura: maggioranza battuta in aula sulla vice presidenza vicaria.

A soffiare il secondo scranno di Palazzo dei Normanni è stato Nuccio Di Paola del M5S, grazie ai voti del Pd e dei due gruppi di Cateno De Luca. Ma soprattutto grazie a 5 franchi tiratori. Tra questi sicuramente c’è il coordinatore siciliano di Fi Gianfranco Miccichè, che però c’ha messo la faccia. «Con le sue scelte, Schifani mi ha messo fuori dalla maggioranza: mi sento libero», aveva detto dopo aver preso atto che il governatore aveva scelto i tre componenti azzurri della giunta senza il suo assenso. Risultato? La spaccatura di Forza Italia.

All’Ars si cono costituiti due gruppi parlamentari: Fi1 e Fi2. Nel primo ci sono Miccichè (capogruppo) Nicola D’Agostino, Tommaso Calderone e Michele Mancuso; nel secondo, che fa riferimento a Schifani, sono in 9. Miccichè rivendica la titolarità legale del simbolo in qualità di coordinatore regionale del partito, ma il fronte fedele a Schifani ritiene legittima la formazione del gruppo. «Ciascuno si assume le proprie responsabilità, i parlamentari sono stati eletti in base al programma del centrodestra e del candidato presidente, poi ogni singolo soggetto è libero di decidere», commenta il governatore pronto a concentrarsi più che sulle «beghe» di partito sui colloqui in corso con i colleghi presidenti di Regione per opporsi all’autonomia differenziata proposta da Calderoli.

Ma il malessere è diffuso anche in altri partiti della coalizione. La maggioranza di 40 parlamentari su 70 in aula non c’è più. Non ci sono solo i 4 miccicheiani sull’Aventino, il voto per la vice presidenza palesa almeno altri 4 scontenti. A creare tensione, la formazione della giunta. Schifani alla fine ha dovuto cedere alle pressioni di Francesco Lollobrigida e Ignazio La Russa che gli hanno imposto due esterni, costringendolo a rinunciare al suo mantra: solo assessori-deputati.

L’ingresso di due non eletti – Francesco Scarpinato (secondo dei non eletti) ed Elena Pagana, moglie dell’ex assessore Ruggero Razza – ha rotto il patto. A farne le spese sono stati due deputati di punta di FdI: Giorgio Assenza e Giusi Savarino, transitati in FdI da Diventeràbellissima e ora delusi da Musumeci che avrebbe spinto per Pagana. La risposta in aula è stata immediata. Su tutte le furie Luisa Lantieri, deputata di Fi vicina a Schifani, che si è dovuta accontentare della seconda piazza come vice presidente dietro a Nuccio Di Paola e ha minacciato le dimissioni, poi rimangiate.