Nella storia di Forza Italia, che ormai va per i trent’anni, non era mai capitato che un capogruppo fosse defenestrato. Il particolare illustra da solo la radicalità del colpo di ramazza deciso da Berlusconi venerdì. Una «serata dei lunghi coltelli» della quale il capogruppo Alessandro Cattaneo, sostituito alla presidenza del gruppo alla Camera dal braccio destro di Tajani, Paolo Barelli, è stato la vittima più eccellente. Certo Berlusconi, tranne quando si sente tradito, cerca sempre di inventarsi un risarcimento, in questo caso l’incarico di vice coordinatore nazionale con delega all’organizzazione territoriale (in tandem con la ministra Bernini) e la presidenza di una bicamerale. Ma il segnale resta chiarissimo, anche perché accompagnato dalla sostituzione di sette coordinatori regionali e presto anche da quella di molti coordinatori comunali, dei 25 responsabili dei dipartimenti e probabilmente di altri coordinatori regionali. Un repulisti che fa piazza pulita dei frondisti e promuove i governisti.

A palazzo Madama, dove regna la frondista numero uno, la capogruppo Licia Ronzulli, giurano di sentirsi sollevati. Dopo l’affondo di Marta Fascina in Berlusconi di qualche giorno fa, «Basta con il controcanto a Meloni», si aspettavano di peggio, insomma di seguire la sorte di Cattaneo. La già potentissima Ronzulli invece resta capo dei senatori, ma con margini d’azione ridotti al minimo: perché ha perso la segreteria della Lombardia, assegnata ad Alessandro Sorte, perché ormai circondata dai governisti ma anche, forse soprattutto, perché ha perso il controllo sull’agenda di Berlusconi, il potere di decidere chi poteva parlare con il padre fondatore e chi no: una posizione che nel partito-regno di Arcore era determinante.

Come si è arrivati alla svolta brusca annunciata da Fascina e realizzata poi in tempi fulminei? O per essere più espliciti: c’è stata una richiesta aperta di Giorgia Meloni, infastidita dalle continue frecciate dei dissidenti azzurri? Forse un vero o proprio aut aut no, ma una serie di proteste sempre più pressanti, poco importa se dirette o affidate a fedeli portavoce, certamente sì. Tutte molto simili: «Il governo affronta momenti difficili e Fi è un fattore di instabilità». A convincere il Cavaliere, data la sua leggendaria tendenza a confondere la dimensione politica e quella dei rapporti privati, è stata in parte la scelta del governo di non costituirsi più parte civile nel processo a suo carico: gesto meritevole di essere ricambiato «con una rassicurazione». Ma è stata molto più la posizione della famiglia, riassunta da Marina con un secco «Se stiamo al governo dobbiamo contare», di Fedele Confalonieri, del redivivo Gianni Letta. Il fronte del quale Fascina, col beneplacito del consorte, è rappresentante politica.

Con Berlusconi, anzi ormai con i Berlusconi, è così da tre decenni: politica sì ma sino a un confine preciso, quello oltre il quale rischiano essere lesi gli interessi dell’azienda e l’azienda ha tutto l’interesse ad andare d’accordo con un governo che si prevede resterà in carica per parecchio. In parte è questione di pubblicità: le partecipate sono un soggetto essenziale per riempire i forzieri in cambio di spot. Ma soprattutto pesano i rapporti con la Rai. Competition is competition, ma fino a un certo punto. La Rai compra programmi Mediaset ed è una cliente importante. I due network principali evitano di sgambettarsi a vicenda sul fronte dei programmi di punta. Il progetto comune è incrementare le coproduzioni. E se questo è l’interesse dall’azienda è anche, automaticamente, quello del partito.