Il primo sguardo alle duemila persone che ieri pomeriggio hanno festeggiato al Salone delle Fontane, sotto al Colosseo quadrato, il compleanno di Forza Italia porta con sé una domanda: ma è sempre stato tutto così improbabile? Verrebbe da rispondere, quantomeno per consolarsi, che no, che l’impero c’è stato davvero ed era credibile, fortissimo, animato da personalità superiori. O forse no. L’uomo nuovo immaginato da Silvio Berlusconi tre lunghi decenni fa è sempre stato proprio così, vestito bene e troppo sorridente, un po’ pacchiano nei modi e un po’ incredulo di avercela fatta davvero, contento di cantare l’antico inno («E Forza Italia, c’è il grande orgoglio in noi di appartenere a te, ad una gente che rinasce con noi») ma subito dopo interdetto quando l’inno europeo, l’Inno alla Gioia, finisce all’improvviso in una manciata di secondi e lascia spazio a qualche attimo di silenzio prima di un applauso molto poco convinto. Magari è che tutti, giovanissimi in primis, sono un po’ invecchiati, ma non è questo il punto. Il punto è tutto nel titolo dell’evento: «Le radici del futuro», dove il futuro in questione è un fatto di nostalgia.

ANTONIO TAJANI, il nuovo leader, «la tessera numero due di Forza Italia» come debitamente sottolineato dal coriaceo Gianni Letta, a tratti si commuove e a tratti cerca di farsi forza: del resto quando c’era Silvio quella creatura strana del suo partito giocava per il governo, mentre adesso gioca per essere «l’ago della bilancia» della coalizione di centrodestra. Insomma, when we were kings, c’era solo un presidente, mentre ora si fa di tutto per convincere gli alleati a ricandidare il governatore uscente della Basilicata, con tutto il rispetto.

OVVIAMENTE c’è spazio per la proiezione del video della calzamaglia, «L’Italia è il paese che amo», perché proprio ieri ricorreva l’anniversario di quel mercoledì del 1994 quando, a metà pomeriggio, Berlusconi interruppe la programmazione delle sue reti e annunciò al popolo la sua intenzione di scendere in campo. Davvero è sempre stato tutto così improbabile, dunque? Sì, certo, però ha funzionato alla grande per un sacco di tempo. Il video successivo, una carrellata dei trionfi di Silvio dagli esordi in politica all’estremo saluto ai suoi, dopo uno degli ultimi ricoveri in ospedale, quando ormai aveva assunto la fisionomia di Mao Tse Tung, lo sguardo si era fatto stanco e la dislalia era ormai incipiente: «Forse vi abbrassio». Forte vi abbraccio.
È lì che si capisce qual è stato l’unico nemico sul quale Berlusconi non è mai riuscito a imporsi: il tempo. Inarrestabile nel suo incedere e nel mostrare quanto il leader sia cambiato nei decenni. Ma anche bastardo, perché l’elenco dei successi di cui sopra fa riflettere sulle date: forse Berlusconi è sempre stato all’opposizione nei suoi periodi di maggiore forza e al governo nei suoi periodi di maggiore debolezza. O forse qui il problema sta nel rapporto tra causa ed effetto, una variabile imprevedibile.

LETTA, 88 ANNI, quasi 89, è attualmente il miglior oratore di cui dispone Forza Italia e uno dei migliori in generale. Dice che parla «a nome della famiglia», che «i figli di Silvio Berlusconi mi hanno chiesto di intervenire». Per fare gli auguri: «Ci sono le radici del futuro perché lì c’è l’avvenire e il successo di Forza Italia dei prossimi trent’anni e ancora trenta». E per benedire Tajani, «secondo Berlusconi è l’unico a non aver mai sbagliato un discorso». La nota politica è questa: l’attuale vicepremier è l’unico erede possibile, il leader di cui questo partito ha bisogno e che questa gente merita. Bando alle fantasie di comando degli altri (o delle altre): da qui in poi sarà vota Antonio. Punto e basta. Sale poi sul palco Bruno Vespa, «giornalista di cui Berlusconi aveva grande stima», ti pareva, e racconta della famigerata firma del disattesissimo contratto con gli Italiani, a Porta a porta, l’8 maggio del 2001. Anche Vespa, comunque, conferma il talento di Berlusconi per le politiche d’opposizione: «La migliore campagna elettorale fu quella delle amministrative del 2000». La crociera Azzurra che «salpa alla volta di Forza Italia». Vittoria a grappolo e dimissioni da palazzo Chigi dell’odiato D’Alema.

IL RESTO È SBADIGLIO. Maria Elisabetta Casellati sostiene che il premierato se l’è inventato Silvio, che poi probabilmente è pure vero, ma dirlo adesso risulta un po’ patetico: quella è la guerra di Giorgia, e quando si andrà a referendum è sui di lei che si voterà. Pichetto Fratin dice la parola «futuro» un numero imprecisabile di volte ma con la faccia di chi non sa che ora sia (è tardi, la platea si è stancata). Gasparri si collega con il Tg4 e parla di «orgoglio». Una parola che nel suo caso può anche avere senso: lui, ex Msi, è uno dei pochissimi che una volta entrato in Forza Italia non ne è mai uscito per rincorrere la fortuna in Fratelli d’Italia, cioè nell’ultima incarnazione del partito che l’ha forgiato. Appare un ragazzo di 14 anni, «l’iscritto più giovane». Sembra molto convinto quando scandisce di volersi «battere per la Calabria». Poi c’è il messaggio della signora di 103 anni che, assicura, ha sempre votato azzurro. Facendo qualche conto, la prima volta l’ha fatto a 80 anni. Mistero sulle sue simpatie precedenti. Ma in fondo è così per tutti: quello che è successo prima del 1994 è appena un’eco qui, oggi, in Italia. Il paese che amen.