Fortini-Enzensberger, consonanze di breve durata
Nei giorni immediatamente successivi all’abbattimento del Muro di Berlino, invitato a Napoli dall’Istituto di Studi Filosofici, Franco Fortini sceglie di parlare della attività che ha caratterizzato il suo percorso intellettuale come infatti testimonieranno, postume, le sue Lezioni di traduzione (a cura di Maria Vittoria Tirinato, Quodlibet 2011). Lì, la voce italiana di Eluard e di Brecht, così come di Proust e Simone Weil, avanza alla maniera di una allegoria la natura ancipite o comunque ambivalente del tradurre, che ora significa superare una frontiera ora invece dimorare su un fronte interno: Fortini aggiunge che le cosiddette versioni d’autore (sempre in qualche modo autodifensive e predatorie) prevalgono nei tempi di clausura e oppressione mentre le versioni di servizio, interlineari o parafrastiche, si affermano in epoche più libere e conflittuali. Sono queste ultime le predilette da Fortini che è solito, predisponendo il testo a fronte, prima condensarlo in prosa e solo poi articolarlo in una scansione metrica.
È quanto egli suggerisce, in pieno miracolo economico, a un giovane poeta, Hans Magnus Enzensberger, che ne sta approntando una silloge in tedesco mentre lui, in collaborazione con sua moglie Ruth Leiser, sta facendo lo stesso nei riguardi del corrispondente traducendo Poesie per chi non legge poesia che (già mutilo della sua progettata introduzione) uscirà da Feltrinelli nel 1964 ma con una grafica e in una collana ufficiosa del Gruppo 63, patrocinata da Enrico Filippini: il che non può garbare a chi ha appena pubblicato i versi di Una volta per sempre (’63). Breve, intensa e rivelatrice è la congiuntura che prima unisce ma quasi subito divide i due poeti di cui restano nell’Archivio Fortini di Siena 16 lettere del tedesco (che scrive anche in francese e italiano) e 5 corrispettive fortiniane cui si aggiungono gli altri documenti d’epoca ora riuniti nel volume Così anche noi in un’eco Carteggio 1961-1968 che, a cura di Matilde Manara, esce da Quodlibet (pp. 182, € 18,00).
All’avvio del carteggio, Enzensberger lavora per l’editore Suhrkamp, vive tra la Germania e un isolotto norvegese davanti ai fiordi, il suo nome ha ormai risonanza internazionale, mentre Fortini è reduce dalla collaborazione con Olivetti, ha rotto con Einaudi, ripreso l’insegnamento nelle scuole superiori e il suo valore di poeta non è ancora di senso comune. In principio, è più che altro Enzensberger a fare domande su origine e destinazione dei singoli testi prescelti cui il poeta italiano risponde allegando estesi e minutissimi autocommenti dove sempre viene raffreddato l’alone emotivo dei versi mentre sono privilegiati viceversa sia la memoria culturale sia gli elementi storico-contestuali che a loro preesistono. (E qui basti citare l’icastico profilo di un indimenticabile compagno di via, Raniero Panzieri: «È morto due mesi fa, a 45 anni, di colpo; stroncato anche dalla miseria (vera), dagli avvilimenti, dalla calunnia, insomma dalla FIAT e dal PCI. Lo abbiamo seppellito senza bandiere né discorsi, con un panno rosso e basta. Era un rivoluzionario vero, di quelli che si crede esistano solo nella memorialistica»).
Sullo sfondo del loro rapporto c’è il progetto di una rivista cosmopolita e trilingue, «Gulliver», vagheggiata fra gli altri da Elio Vittorini, Roland Barthes, Uwe Johnson, ma è un periodico che non uscirà mai: nel frattempo, vicinissima, c’è la mina vagante delle neoavanguardie pure se nel carteggio in un primo momento è sottaciuta o aggirata la prossimità di Enzensberger al Gruppo 47. Al presente, l’intersezione fra i due corrispondenti è d’ordine politico per la comune attenzione e il credito a quella che presto si chiamerà Nuova Sinistra dal momento che, nel 1965 e pressoché in contemporanea, l’uno pubblica Verifica dei poteri e l’altro avvia «Kursbuch», l’unica rivista radicale nel pantano tedesco della Guerra Fredda. Quanto alla poesia, il punto di frontiera è d’ordine prosodico (perché in tedesco vale l’intensità dell’accento, in italiano l’altezza melodica del verso) e specialmente metrico se Enzensberger in una lettera del Capodanno ’62 confessa di non riuscire «proprio a capire cosa sia un endecasillabo». Fortini gli ha già risposto in quella del 9 marzo ’61 che la vera questione sta nella difformità del trattamento linguistico e stilistico: da un lato il poeta tedesco gioca sulle tensioni sincroniche fra il linguaggio colloquiale, tecnico, giornalistico, pubblicitario, dall’altro l’italiano lavora sulla diacronia, «passeggia, insomma, su e giù per i secoli della lingua italiana, mantenendosi, come ‘area’ del presente, nel ‘decoro’ toscano».
È dunque una posizione diametrale pari a quella che può intercorrere, ad esempio, fra Sestina a Firenze e Difesa dei lupi contro le pecore come peraltro evidenzia la anticipazione del rispettivo lavoro, incrociato alla maniera di un chiasmo stilistico, nel numero 25 (1964) de «L’Europa letteraria». In effetti, il vero ponte è garantito Bertolt Brecht e non è un caso che il suo nome ricorra nel carteggio più di ogni altro. Ma c’è Brecht e Brecht, tuttavia: quello di Enzensberger è l’anarchico impunito e sboccato degli esordi, l’autore avanguardista di Baal e dell’Opera da tre soldi, quello di Fortini è il poeta lirico della maturità, l’Orazio comunista e laconico che scrive versi «cinesi», sapienziali. Appare perciò evidente, in retrospettiva, la divergenza fra la natura centripeta e classicista della ricerca di Fortini e invece centrifuga e sperimentale del poeta tedesco.
Nel ’66, l’incidente di percorso è la lettera di uno studioso tedesco (pubblicata in «Kursbuch» senza preavvertire Fortini) che taccia un suo saggio su Brecht di trasandatezza filologica e di «volgarmarxismo».
La risposta di Fortini mette in luce l’autentico motivo della disputa, che non si riferisce a un qualche galateo ma al diverso giudizio sull’industria culturale e i gruppi che ne divengono egemoni nello stesso momento in cui ambiscono a esserne i più severi fustigatori: «Avevo creduto che, in lei, il superamento del volgarprogressismo per una visione più approfondita del conflitto mondiale avrebbe potuto dire la fine di quel linguaggio, tanto diffuso fra i pubblicisti delle neoavanguardie, che tratta le barricate di carta come barricate vere e vuol far credere o quasi che lo strutturalismo sia un episodio della guerra di classe … Mi ero sbagliato e me ne spiace».
L’ultima lettera del poeta tedesco porta la data del 16 settembre 1968 e segnala una fase di difficoltà all’interno del movimento preannunciando una sua prossima permanenza nella Cuba castrista ma il lettore coglie che la distanza è oramai diametrale. Fortini sta entrando nella fase di piena maturità poetica che segna un apice con Questo muro (’73) e paradossalmente la sua indipendenza e la distanza dai partiti tradizionali della sinistra come dall’arcipelago gruppuscolare gli garantiscono un ascolto che non aveva. Per parte sua Enzensberger avvia una fervida produzione saggistica (basti citare in italiano Palaver, Einaudi 1976, e Sulla piccola borghesia, il Saggiatore 1983), cui alterna quella poetica che a volte è di altissima qualità come nei casi di Mausoleum (Einaudi 1979), La fine del Titanic (ivi 1980) o Più leggeri dell’aria (ivi 2001): e però il saggista di «Kursbuch» da tempo si è volto alla mestizia del disincanto, alle conciliazioni del buonsenso.
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