Visioni

«Forever, Forever», gli anni ’90 cuore di tenebra dell’Ucraina

«Forever, Forever», gli anni ’90 cuore di tenebra dell’UcrainaUna scena da «Forever, Forever»

Intervista Conversazione con Anna Buryachova, il suo film ritorna a Kiev poco dopo il crollo dell’Urss. Un’adolescenza post-sovietica, la scoperta della libertà, l’autobiografia

Pubblicato circa un anno faEdizione del 22 settembre 2023
La regista Anna Buryachkova

Anna Buryachkova ha un sorriso dolce, la voce un po’ bassa di cui si scusa – «Ho preso freddo, forse l’aria condizionata» sussurra. Alla Mostra di Venezia 80 il suo film, Forever Forever è stato presentato negli Orizzonti Extra, noi però ci parliamo qualche giorno dopo su zoom, nel caos del Lido era troppo complicato. Lei è a Lisbona, dove vive suo figlio che ha quindici anni, se ne sono andati due anni fa da Kiev quando è cominciata la guerra – «Per un ragazzino della sua età ho pensato era meglio andare altrove». Lei poi è tornata e ora vive un po’ a metà. Forever, Forever ha iniziato a girarlo prima dell’invasione russa in Ucraina – «Sarebbe diventato impossibile poi» – in montaggio le bombe cadevano già sulla capitale e questo, come dice Anna ha un po’cambiato le prospettive.
Ma cosa racconta il film che non è ambientato oggi bensì negli anni Novanta post-sovietici? Di un’adolescenza, quella della protagonista Tonia (la molto brava Alina Cheban) che si intreccia a altre, di un tempo fatto di libertà improvvisa, conflitti e spaesamenti, di un paesaggio che mutava rapidamente nel quale i suoi giovanissimi personaggi si muovono cercando ciascuno il proprio spazio nel mondo. La regista allora aveva la loro stessa età e però questo, ci tiene a dirlo, non è un film autobiografico. Piuttosto unisce tante storie personali vissute e condivise in una dimensione collettiva cercando di restituirne senza troppi filtri il ritmo, i desideri, il respiro. «Eravamo dei combattenti, e quella forza ci è rimasta ancora adesso» dice.

Negli anni Novanta dell’indipendenza lei aveva la stessa età dei personaggi. È per questo che ha scelto di tornare a quel periodo?

Molto di ciò che siamo adesso deriva da quegli anni, con il collasso dell’Unione sovietica è arrivata una libertà sconosciuta che però non tutti sapevano come usare. Questo ha prodotto molto caos nella società e nelle vite dei singoli, siamo dovuti crescere velocemente. Tutto era molto selvaggio, c’era chi aveva paura persino di uscire di casa, c’era molta criminalità. Ma se sei giovane, come i miei protagonisti, vuoi solo vivere, vedi le cose dal lato migliore e hai fretta di conoscere il mondo, di innamorarti, non pensi che intorno a te potrebbe già essersi guastato qualcosa. È per questo che ci vedo come dei combattenti, siamo sopravvissuti a molte prove difficili.

A che punto era il film quando è iniziata la guerra?

Avevamo finito le riprese, ero al montaggio. È chiaro che quanto succedeva è entrato nel film, a cominciare dai nostri stati d’animo, di fronte a un’invasione come è quella russa non puoi chiuderti semplicemente in studio con i tuoi racconti. La catastrofica situazione che affrontava il mio Paese ci ha posto poi molte domande anche rispetto al materiale su cui stavamo lavorando, che appunto ci riportava a trent’anni fa, con una ragazzina che lotta per essere libera. C’è un’analogia in fondo, no?

La storia è autobiografica?

No, nel senso che non si tratta della mia vita, ma nella narrazione vi risuonano le esperienze e le voci di chi ho conosciuto, e anche le esperienze personali. La scelta di quel periodo però ha anche altre ragioni. In un certo senso rappresenta il «cuore di tenebra» nella storia dell’Ucraina per quel passaggio dal potere sovietico, in cui gli ucraini sono stati assorbiti per decenni, all’indipendenza. Il cambiamento è stato lungo e doloroso, con costanti e ripetuti tentativi della Russia di mantenere il controllo sull’Ucraina – in modi diversi e più o meno diretti. Non si trattava soltanto di questioni economiche e sociali ma della transizione generale alla democrazia, che appunto è stata piena di ostacoli. Il regime post-sovietico è stato altrettanto duro, specie per chi come noi era giovane e cercava la sua strada, voleva essere libero. La rivoluzione di dieci anni fa è stato il primo tentativo di affermare realmente la nostra indipendenza ma le fratture che erano già lì e che rimandavano alla Russia si sono approfondite – è così siamo arrivati al conflitto del Donetsk e all’invasione da parte di Putin della Crimea quando abbiamo rifiutato i politici da lui controllati.

Vi aspettavate la guerra? E come è adesso la situazione?

L’inverno precedente all’invasione sentivamo che poteva accadere qualcosa, c’erano continui movimenti militari ovunque. Al tempo stesso non era nuovo, così pensavamo a una delle solite «dimostrazioni di forza» da parte russa. Kiev è molto protetta, cercano di attaccarla in ogni modo. La notte si è spesso costretti a andare nei rifugi, è chiaramente il tentativo da parte dei russi di logorare la nostra resistenza, perché se la capitale cade tutto il Paese segue. Ma non accadrà mai, continuiamo a resistere.

La guerra come altre guerre ha provocato un esodo diffuso, e un grosso trauma specie per i più giovani che hanno visto interrompersi nell’età dei cambiamenti le loro vite.

Quasi tutte le persone che conosco sono convinte di tornare a casa, in Europa si considerano ospiti. Lo stesso vale per chi come mio figlio è adolescente, il sogno comune è adesso il contrario di quello di tutti i ragazzi che vogliono partire da dove sono, viaggiare. Loro dicono invece: «Vogliamo tornare, vogliamo la nostra vita indietro». Non vedono alcun vantaggio nel fatto di stare in altri paesi, pure se si trovano bene. L’aspirazione è quella di costruire in Ucraina un mondo nuovo.

Come è fare cinema in questo periodo in Ucraina?

Molto difficile naturalmente però è anche un momento di grande creatività. Il mio film sarà distribuito in sala nei prossimi mesi, e tanti altri colleghi stanno girando. Forse è più diffuso il documentario, ce ne sono di molto buoni in cui si cerca di spiegare le questioni centrali nel conflitto. Sulla guerra non ci sono ancora finzioni vere e proprie, credo ci sia bisogno di maggiore distanza.

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