Football segreto e no, con Nicky, Dino, Diego e gli altri
Intervista Matteo Fornara racconta il suo giro del mondo calcistico in un libro: «Viaggio sul pianeta del football», da Urbone Publishing
Intervista Matteo Fornara racconta il suo giro del mondo calcistico in un libro: «Viaggio sul pianeta del football», da Urbone Publishing
Mettetevi davanti a un mappamondo e con il dito indicate uno stato. Ebbene per quel Paese troverete una storia di calcio nel libro di Matteo Fornara Nicky, Dino, Diego Viaggio sul pianeta del football (Urbone Publishing, euro 18). Un viaggio che inizia in Inghilterra e termina in Brasile attraverso continenti, stadi appoggiati su container e campetti artici bersagliati dai fulmari, gli uccelli che vivono nell’Oceano Atlantico settentrionale.
Fornara, chi sono «Nicky, Dino, Diego»?
Nicky è Salapu, il portiere delle Samoa Americane che in una partita di qualificazione ai Mondiali, nel 2001, subì 31 reti dall’Australia, senza che la banda di ragazzini che gli misero davanti quel giorno riuscisse a segnarne nemmeno una. Rappresenta la parte nascosta del libro, quella dei paesi esclusi dalla narrazione del mainstream calcistico. Credo ci siano meno dubbi sull’identità degli altri due personaggi, Dino e Diego. La parata di Zoff contro il Brasile nel 1982 cambiò la storia dell’Italia, e forse non solo quella sportiva. Maradona si trova da tutte le parti dove si gioca il football, quello vero, dai grandi stadi alle strade delle periferie.
Come ha fatto a trovare, e verificare, episodi particolari che hanno come protagonisti calciatori di 211 nazioni?
C’è voluto un anno ma è stato molto divertente. Alcune storie parlano di esperienze personali o ricordi diretti; ogni volta che entro in uno stadio mi sento nel mio habitat naturale. Tutte le altre provengono da fonti affidabili che ho verificato con controlli incrociati. Inoltre, scrittori come Eduardo Galeano, Nick Hornby, i due Gianni, Brera e Mura, o Vladimir Dimitrijevi fanno parte del patrimonio calcistico dell’umanità.
L’idea di raccontare tutte queste storie le è venuta dalla vicenda del giocatore olandese Wim van Hanegem. Perché?
I nazisti che occupavano l’Olanda nel 1944 uccisero il padre e due fratelli di van Hanegem, che erano tornati dal rifugio nella loro città, Breskens, alla ricerca di cibo. Lui era appena nato, ma quando si ritrovò i tedeschi di fronte nella finale dei Mondiali del 1974 a Monaco di Baviera tutto il risentimento venne fuori, e giocò quella partita in trance.
Da ragazzino i suoi allenatori lo chiamavano «De Kromme», Lo Storto, perché aveva le gambe arcuate ed era sovrappeso. Il 1974 fu l’anno in cui il calcio cambiò: l’Olanda sua e di Cruyff rivoluzionò il gioco sul campo, mentre fuori la Fifa di Havelange e Blatter, con l’aiuto di Adidas e Coca Cola, avviò il predominio del business sugli aspetti sportivi.
Scrive di violenza, soprusi, razzismo, corruzione, squallore e dribbling, poesia, tiri che sfondano le reti… Una che le ha lasciato molta amarezza?
Ci sono stati molti calciatori di origine africana e caraibica oggetto di vessazioni di diverso tipo nell’Inghilterra degli anni Settanta. I genitori dei fratelli Justin e John Fashanu venivano dalla Guyana, e il più forte dei due, Justin, quando aveva vent’anni venne apostrofato come «fottuto finocchio» dal suo allenatore. All’epoca il razzismo era pane quotidiano negli stadi inglesi, e l’aggravante dell’omosessualità attirò le attenzioni morbose dei tabloid come il Sun. Fashanu venne trovato appeso a una fune in un garage di Shoreditch (quartiere di Londra, ndr) quando aveva 37 anni.
Una invece bella?
Il Sudamerica offre un’infinità di storie romantiche. Garrincha, che si può definire l’inventore del dribbling, volò libero fino alla morte, come faceva l’omonimo uccellino nella foresta amazzonica. Ma il mio preferito è il Trinche Carlovich, eroe assoluto nella città del calcio, Rosario. A colpi di classe distrusse da solo la nazionale argentina in un’amichevole quando era sconosciuto fuori dalla sua città, poi Menotti lo convocò prima dei mondiali del 1978 ma lui sulla strada per Buenos Aires vide un lago e si fermò a pescare. Maradona – non io – disse che il più grande era lui.
C’è spazio anche per vicende ambientate in nazioni che non esistono più…
Ho dedicato il mio libro precedente, Il Genio e la Tigre, alle vicende calcistiche che ebbero un impatto, a volte tragico, sulla dissoluzione della Jugoslavia dopo la morte di Tito. Qui racconto quella di Dragan Dzaji,
il calciatore che Pelé volle al suo giubileo al Maracanà. Era un’ala sinistra dal dribbling fulminante, e da dirigente della sua Stella Rossa negli anni Novanta fu l’unico capace di bloccare la scalata al vertice della società del criminale di guerra serbo Zeljko Raznatovic, il famigerato Comandante Arkan responsabile dei crimini più efferati in Bosnia.
Lei sostiene che ci sono dei temi che raggruppano i paesi di diverse zone del mondo. Per esempio, scrive che nei Caraibi e in Oceania il calcio è puro divertimento…
Nel 2005 la nazionale di Montserrat era la più scarsa del mondo, e non trovava avversari disponibili ad affrontarla. Montserrat è una piccola isola in mezzo ai Caraibi, devastata dal vulcano Soufrière Hills. Con la mia squadra dell’epoca contattammo la Federazione che ci invitò a giocare. Scoprimmo un mondo: un allenatore inglese, ex calciatore del Wolverhampton, faceva giocare i ragazzini sul campo a strapiombo sull’oceano. Perdemmo due volte contro di loro, che correvano forte. Due mesi dopo si fecero eliminare dai Mondiali dalla Repubblica Dominicana. Fu come riaprire gli occhi su un calcio scomparso qui da noi.
Per il nostro Paese che storia racconta e perché proprio questa?
Si tratta anche qui del fatidico anno 1974, e dell’incredibile scudetto della Lazio di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario. La storia l’ha scritta Matteo Zacchetti, uno dei cinque autori ospiti nel libro, da sempre affascinato dalla figura dell’allenatore Tommaso Maestrelli – uno dei primi a capire e a «tradurre» il gioco olandese in Italia – e ancora di più dalla sua avventura umana, la carriera calcistica squassata dalla guerra e l’esperienza di partigiano, addirittura in Jugoslavia.
Abbiamo voluto rendere giustizia a quello scudetto passato alla storia come la vittoria di una banda di irregolari, di canaglie di destra, che invece senza l’intelligenza umana e senza la guida del partigiano si sarebbero schiantati alla prima curva.
Tra le pagine traspare anche una sorta di preoccupazione per le sorti del calcio che a suo avviso non può trasformarsi in uno spettacolo ma deve rimanere un gioco. Forse questo è già accaduto con le piattaforme a pagamento. Non crede?
Senza dubbio. C’è chi dice che ai ragazzini di oggi bisogna dare gli highlights, magari su Tik Tok o su Instagram, invece delle partite. Nel libro critico le iniziative recenti di un ex calciatore, Gerard Piqué, che in nome dell’entertainment offre prodotti e non sport, nel calcio come nel tennis. Credo che si debbano tenere il campo, quel magico rettangolo con l’erba sopra, e la passione della gente al centro di tutto.
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