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Foo Fighters, doppia elaborazione del lutto aspettando il futuro

Foo Fighters, doppia elaborazione del lutto aspettando il futuroFoo Fighters – foto di Scarlet Page

Note sparse «But Here We Are» è la catarsi artistica di Grohl, reduce dalla perdita di Hawkins e di sua madre Virginia.

Pubblicato più di un anno faEdizione del 14 giugno 2023

Se proprio bisogna insistere sulla resilienza, ripartiamo da un paio di accezioni dell’infinito resilire: «rimbalzare indietro», come bacchette dopo un colpo sul rullante, oppure «ritirarsi, contrarsi», chiudendosi a riccio. Hanno entrambe senso, per raccontare But Here We Are, ultimo album di una band che a riccio si era chiusa dal 25 marzo 2022, di fronte a un paio di bacchette tragicamente azzittite. Poche deroghe al silenzio: due tributi live per arguire che sì, i Foo Fighters sarebbero risaliti sulla loro barca rovesciata, in ossequio a una terza accezione del verbo latino. Ma se è vero che la rotta inizialmente solitaria del leader era partita proprio da un lutto, quello epocale di Cobain, va ricordato che stavolta Dave si trova alle prese con una doppia elaborazione, per il suo miglior amico Taylor e per sua madre Virginia.

NON È PIÙ SOLO, suggerisce il titolo al plurale; lo è ancor più, dicono i testi scritti in gran parte prima della musica. Unione e scissura, progresso e passato, dualismi che il White Album dei Foo Fighters eredita dall’illustre precedente, riferimento certamente non casuale conoscendo il background di Grohl.
Come il Lennon di Julia anch’egli sovrappone affetti e figure al ricordo di sua madre, The Teacher, da cui ha imparato «a respirare, ma non a dire addio»; né a lei, né al compagno con cui immagina ancora di «condividere canzoni e sigarette». Lungo le tracce implora supplenze, nuove figure guida che gli mostrino come fare: Show Me How, richiesta reiterata che intitola il brano in cui duetta con sua figlia Violet, in un chiaro bisogno di continuità familiare.

L’ottimismo della band lascia spazio a rabbia e raccoglimento

Non c’è da stupirsi che il virile ottimismo dei Fighters lasci spazio a una catarsi che è rabbia e raccoglimento, alternativamente tradotta in musica da sfoghi rock — in Rescue, Hearing Voices e nella bomba a orologeria della title track — e dalla disadorna vulnerabilità di ballad come The Glass, Beyond Me e Rest. Rimbalzando di colpo, le bacchette tornano tra le mani di Grohl come testimoni di una staffetta. È lui a incidere tutte le parti di batteria, non accadeva da vent’anni e non è solo una questione simbolica: l’istinto sarebbe quello di riportare indietro, di colpo, anche l’impatto ritmico della band. Ma le scorribande in power trio devono scendere a patti con la maturità e il dolore; e con la produzione di Greg Kurstin ormai assestata su soglie minime di levigatezza.

DALLE QUALI riemergono gli insegnamenti di un’altra guida, l’amico Kurt da cui Dave attinge per le inflessioni armoniche con cui colora Nothing At All, oscillando tra terze maggiori e minori come in On A Plain per poi urlarle allo specchio di Smells Like Teen Spirits.
Sprazzi di pura potenza sublimati nella stessa The Teacher — suite prog-rock i cui versi condensano lo spirito di quest’album e la cui musica presagisce forse quello che verrà — e in Rest, crudo e commovente epilogo: «Rest, you can rest now / Rest, you will be safe now». A chi parli, Dave? A Taylor, a Virginia o a te stesso?

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