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Fontana, il razzista alla Carta

Fontana, il razzista alla CartaAttilio Fontana al mercato – Ansa

Campagna elettorale Il candidato del centrodestra alla guida della regione Lombardia rovescia il senso dell’articolo 3 per giustificare i suoi proclami anti immigrati. Ma la sua sparata mediatica può rilanciare il dibattito aperto da un appello degli scienziati che chiedono ti cancellare il termine "razza" dalla Costituzione

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 17 gennaio 2018

Attilio Fontana, il candidato leghista alla regione Lombardia, il giorno dopo aver detto che gli immigrati mettono a rischio «la nostra razza bianca», riconosce di «aver usato un’espressione inopportuna». Ma a confermare che non si è trattato di uno svarione, quanto invece di una precisa strategia da campagna elettorale – Fontana è un candidato poco conosciuto che ha bisogno di far parlare di sé, inoltre ha bisogno di conquistare gli ultrà leghisti che lo vedono come un moderato – invece di scusarsi praticamente rivendica. «La Costituzione – aggiunge infatti, intervistato da Tgcom24 – è la prima a dire che esistono le razze. Allora dovremmo cambiarla».
E ha ragione, almeno da un punto di vista letterale. Perché l’articolo 3 come tutti sanno stabilisce che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali».

Razza dunque, una parola ben nota quando fu proposta nel dibattito della Costituente perché portava su di sé il peso delle peggiori atrocità fasciste. Erano passati solo otto anni dall’applicazione in Italia delle leggi razziali ed è a quel tipo di discriminazione che il costituente fa riferimento per negarlo in radice. Nel dibattito del 1947 in assemblea Costituente su quello che sarebbe diventato l’articolo 3 non si registrarono per questo significative contrarietà riguardo all’uso del termine. Ci furono isolate proposte di sostituirlo con «stirpe» da parte democristiana (Mario Cingolani), mentre il socialista Ferdinando Targetti avanzò dubbi stilistici: «Razza suona tanto male, fa pensare più che agli uomini agli animali». Si rispose, da parte del comunista Renzo Laconi, che razza invece andava mantenuto perché «è un preciso riferimento a qualche cosa che è realmente accaduto in Italia, al fatto cioè che determinati principi razziali sono stati impiegati come strumento di politica ed hanno fornito un criterio di discriminazione degli italiani».

Quando la Costituzione fu scritta, del resto, non esistevano le prove scientifiche della inesistenza delle razze umane. Prove che sono, da qualche anno, il presupposto delle campagne per ottenere la cancellazione di quel termine. Non solo in Italia. L’ex presidente Francois Hollande durante la campagna elettorale del 2012 si impegnò a togliere quella parola dall’articolo 1 della Costituzione francese del ’58, che ha una parte sull’uguaglianza simile a quella italiana. L’idea arrivò successivamente in parlamento nella forma di una proposta di legge del Front de gauche di Melanchon, appoggiata dai socialisti ma mai approvata definitivamente.

Proprio dal dibattito francese è nato l’appello degli antropologi italiani Biondi e Rickards nell’ottobre del 2014 per togliere razza dal nostro articolo 3. Appello condiviso successivamente in ambiente scientifico, per esempio dal genetista Carlo Alberto Redi, ma assai poco in ambiente costituzionalistico dove viene considerata al più un’iniziativa sbagliata fatta con le migliori intenzioni. Sostiene ad esempio Mario Dogliani, recente autore con Chiara Giorgi di una monografia sull’articolo 3, che «il dettato della Costituzione è molto chiaro ed esprime il divieto assoluto di discriminazione razziale, nega dunque che la razza possa essere un presupposto per qualsiasi atto». L’articolo 3, allora, cita la razza per escludere che altri, il legislatore innanzitutto, possano farlo. Mentre il leghista Fontana propone proprio iniziative di tipo discriminatorio. «È come se uno volesse incitare all’omicidio e lo rivendicasse perché il codice penale parla dell’omicidio», conclude con un paradosso Dogliani.

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