Lavoro

Fonici, cameramen e sceneggiatori. Il dorato mondo tv è tutto precario

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L'indagine Slc Cgil e Associazione Trentin: paghe basse e poche tutele. I lavoratori chiedono al sindacato più impegno per le stabilizzazioni

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 12 novembre 2014

Carriere discontinue e precarie, paghe basse, poche tutele (quasi del tutto assente la maternità): il mondo della radio e della tv non è poi così dorato per chi lavora dietro le quinte e i maxi compensi delle star. Quello di cameramen, fonici, addetti alla produzione, sceneggiatori è un mondo fatto di partite Iva (spesso imposte e in minima parte scelte), collaborazioni tra le più disparate, lavori a chiamata, con paghe che si aggirano in media tra i 10 mila e i 15 mila euro annui. E la disoccupazione, con la crisi, è diventata un fantasma sempre più concreto: 1 addetto su tre lavora infatti meno di 3 mesi l’anno.

Il quadro, più che sconfortante, viene fuori da una corposa inchiesta svolta dalla Slc Cgil e dall’Associazione Bruno Trentin, elaborata attraverso un questionario che è rimasto on line per 5 mesi, ed è riuscito a “intercettare” ben 500 lavoratori. Sì, perché una delle sfide più difficili per il sindacato – come spiega Barbara Apuzzo, segretaria nazionale Slc e animatrice della ricerca per conto della categoria – è proprio quella di «contattare queste figure, far conoscere loro le nostre azioni e campagne: da questo punto di vista il web e i social network sono stati essenziali».

L’identikit del precario radio-tv medio, spiega il direttore della «Bruno Trentin», Fulvio Fammoni, risponde a questi requisiti: uomo, età media 40 anni, essenzialmente lavoratore autonomo ma in buona parte anche con contratto a chiamata, una busta paga che oscilla tra i 10 ed i 15 mila euro e con periodi di disoccupazione anche fino a 3 mesi.
Sono tanti i profili professionali, spesso si evolvono con l’evolversi del settore, ma in linea di massima si tratta di tecnici, operatori, maestranze, impiegati, grafici, editor, montatori ma anche autori,assistenti alla regia, sceneggiatori, redattori, attori e fotografi. L’indagine ha rilevato soprattutto contrattisti a termine, atipici e lavoratori in appalto.

Il 32% degli intervistati è un lavoratore autonomo, il 25,5% risponde a un contratto di lavoro a chiamata mentre il 13% è parasubordinato (dal progetto alla collaborazione occasionale, al lavoro accessorio), mentre il 21% è subordinato a tempo determinato. Solo il 9% delle partite Iva dichiara di fare un lavoro autonomo per scelta. Ancora: 1 addetto su 3, il 34%, ha lavorato meno di 90 giorni e solo uno sparuto 10% non conosce disoccupazione. Il 43% ha conosciuto tempi di disoccupazione anche di 3 mesi.

Anche la durata media dei contratti, spiega la Cgil, è variegata: 1 lavoratore su 4 sigla contratti che durano meno di 5 giorni e sempre 1 su 4 firma contratti di oltre 180 giorni ma non si va mai oltre questo lasso di tempo. «La frammentazione dei contratti è determinata più dalla tipologia professionale che dal tipo di rapporto – aggiungono gli estensori della riceca – L’orario di lavoro è pesante, il 50% degli intervistati supera le 40 ore settimanali previste».

Il rapporto con il sindacato non è facile «perché i lavoratori hanno paura e sono ricattabili». Ma uno spiraglio l’indagine la fornisce: il 29% chiede maggiori diritti e tutele per i lavoratori autonomi, il 28% di trasformare i contratti precari in contratti stabili, il 25% di dare una continuità occupazionale a chi ha un lavoro temporaneo.

Difficile in queste condizioni crearsi una famiglia: bel il 67,8% degli intervistati dichiara di non avere figli. «Assicurare tutele come la maternità è una delle sfide più urgenti», spiegano Susanna Camusso e la segretaria confederale Serena Sorrentino. «Con la contrattazione inclusiva spesso siamo riusciti ad assicurare più garanzie, insieme alla sanità e alla previdenza integrativa. Ma non basta: servono investimenti sul settore, per migliorare la qualità del lavoro, e leggi che garantiscano la congruità delle offerte negli appalti, non permettendo i ribassi sul costo del lavoro». Massimo Cestaro, segretario generale Slc Cgil, chiede «un nuovo quadro legislativo che riconosca e valorizzi anche i tempi di non lavoro, visto che spesso queste figure svolgono attività intellettuale e quindi si formano anche fuori dalle produzioni».

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