Cultura

«Fondo Rauti». Dopo le proteste interviene, male, il ministero

«Fondo Rauti». Dopo le proteste interviene, male, il ministeroPino Rauti, il primo da destra, sul palco di un comizio del Msi accanto a Giorgio Almirante

Il caso La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha presentato con parole entusiaste il riordino dell’«archivio e della biblioteca personale» di uno «Statista», il fondatore di Ordine Nuovo, Pino Rauti. Il tardivo intervento del ministro Franceschini, che ha fatto rimuovere la pagina celebrativa, non pare incidere sulla sostanza ma solo su quella surreale forma apologetica con cui sono state presentate ufficialmente le carte di un dichiarato nemico dei nostri valori fondativi

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 27 novembre 2020

Il 19 novembre la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha presentato con parole entusiaste il riordino dell’«archivio e della biblioteca personale» di uno «Statista»: Pino Rauti.

Per rendere l’omaggio più emblematico è stata scelta la data di nascita di quello che, già fascista a Salò, divenne fondatore del gruppo Ordine Nuovo (ON).

Il 12 dicembre del 2019, nel cinquantesimo anniversario della strage, in Piazza Fontana a Milano venne installato un marmo con un’incisione che recita «ordigno collocato dal gruppo terroristico di estrema destra Ordine Nuovo». Il Presidente della Repubblica Mattarella indicò le responsabilità degli apparati di sicurezza dello Stato «doppiamente colpevoli» per i depistaggi operati.
Pino Rauti ha rappresentato uno dei punti di congiunzione tra il mondo fascista della guerra civile del 1943-45, i gruppi eversivi degli anni Sessanta–Settanta e quegli apparati.

Nel 1956 con una scissione dal Msi fondò ON insieme a personaggi che diverranno noti nei processi per le stragi (da cui Rauti uscì prosciolto) e per lo scioglimento del gruppo per ricostituzione del partito fascista nel 1973. A quell’epoca Rauti aveva già fatto ritorno alla casa missina grazie all’ascesa alla segreteria di Almirante ed in nome di quella «politica dell’ombrello» volta ad avere una protezione ufficiale per lui ed il suo gruppo. Era il novembre del 1969, un mese prima della strage di Piazza Fontana.

La sua figura si lega a quella del generale Giuseppe Aloia e all’agente «Z» dei servizi segreti Guido Giannettini ovvero l’uomo di riferimento della cellula ordinovista veneta che si rese responsabile delle bombe del 1969 dando seguito alle indicazioni del convegno del 1965, organizzato dall’istituto «Alberto Pollio» in cui Rauti e Giannettini furono tra i principali relatori.
Rauti ebbe contatti diretti con Yves Guérin-Sérac, responsabile di una centrale terroristica internazionale di Lisbona (Aginter Presse) e con i colonnelli greci responsabili del colpo di Stato del 1967 che l’anno dopo ospitarono un viaggio di formazione per i militanti di ON.

Rauti non nascose mai le sue idee. Intervistato nel 1971 dichiarò di essere contrario alla democrazia parlamentare ritenendola «un errore in linea di diritto e di principio» precisando «non credo all’uguaglianza tra gli uomini, credo anzi alla disuguaglianza tra gli uomini».

La questione sollevata dalla costituzione del suo fondo archivistico non interroga la sua nota figura di fascista quanto il rapporto tra la memoria storica del Paese, la sua identità democratica ed il suo profilo culturale e costituzionale.
Proprio per il suo carattere drammatico e violento sarebbe fondamentale la disponibilità di un archivio ampio e ricco dell’estrema destra in Italia ma ad oggi questo si presenta ridotto e frammentato obbligando gli storici ad attingere da documentazione di natura giudiziaria più che storico-politica, rappresentando così un’evidente criticità per la ricerca.

L’archivio Rauti, selezionato da lui stesso, rischia di non colmare nemmeno in parte questa lacuna ed anzi, lungi dal rappresentare «fonte di informazione politica di prim’ordine», sembra configurarsi come un’ennesima operazione di memoria storica selettiva e revisionista. Al suo interno non si troveranno le carte più problematiche e contraddittorie del personaggio e del neofascismo ma un lungo e lineare percorso, tutt’al più «attivo e creativo, quanto riflessivo e critico». Tutto fuorché eversivo e inconciliabile con la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza contro cui Rauti fin da giovane combatté. È per l’assenza di questo fondamentale elemento che anche il tardivo intervento del ministro Franceschini non pare incidere sulla sostanza ma solo su quella surreale forma apologetica con cui sono state presentate ufficialmente le carte di un dichiarato nemico dei nostri valori fondativi.

Rauti non fu uno statista perché, come ha ammonito Mattarella nell’anniversario di Piazza Fontana, «Non si serve lo Stato se non si serve la Repubblica e, con essa, la democrazia».

Siamo fiduciosi che istituti come la Biblioteca Nazionale Centrale seguano tale mandato.

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