«Folli rei» e codice Rocco, ora la riforma
Fuori luogo I muri del manicomio sono duri da abbattere
Fuori luogo I muri del manicomio sono duri da abbattere
I muri del manicomio sono duri da abbattere. Dall’approvazione della legge 180, nel 1978, che sanciva l’abolizione dell’internamento in ospedale psichiatrico, ci vollero vent’anni, e un decreto dell’allora Ministra Rosy Bindi con sanzioni alle regioni inadempienti, per chiudere effettivamente i manicomi in tutta Italia. Con gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) la storia si è ripetuta. E anche se il tempo per chiuderli è stato più breve (l’ultimo, quello di Barcellona Pozzo di Gotto, è stato chiuso nel 2017, a 5 anni dal termine previsto dalla legge) c’è voluto un Commissario nominato dal Governo per costringere ben sei regioni ad accogliere i loro pazienti ancora internati in Opg.
E sappiamo quanto forti siano ancora oggi le resistenze ad applicare la riforma che li ha chiusi, al punto che si rende urgente e necessaria la riattivazione dell’Organismo nazionale di monitoraggio sul superamento degli Opg. Per fortuna un recente pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza 99/2019) ha sancito per il detenuto l’equiparazione dell’infermità mentale a quella fisica così da poter accedere a misure alternative al carcere, e quindi alle cure più appropriate. Purtroppo la nostalgia del manicomio e la contestazione dei principi fondamentali delle Rems, primo il numero chiuso, hanno spinto un magistrato di Tivoli a presentare una questione di legittimità costituzionale.
Ma i segnali concreti di quanto persistenti siano i muri del manicomio sono tanti: pensiamo all’uso della contenzione meccanica nei servizi psichiatrici, all’abuso nel ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso), alla crescita di strutture residenziali che allontanano, spesso per sempre, le persone dalla loro comunità. E pensiamo allo stigma che continua ad associare follia a pericolosità sociale; stigma che era alla base dell’Opg e mantiene oggi in vita il «doppio binario», che riserva solo ai «malati di mente incapaci di intendere e volere autori di reato» un trattamento speciale.
La Riforma che ha chiuso gli Opg e avviato il difficile processo per il loro superamento non ha intaccato infatti gli articoli del codice Rocco che, ritenendo i «folli rei» non imputabili, li destina al binario speciale della misura di sicurezza, alla separazione tipica della logica manicomiale. Da questa consapevolezza nasce la proposta di legge sull’imputabilità dell’autore di reato dichiarato incapace di intendere e volere, che sarà presentata e discussa nel seminario del 18 e 19 settembre a Treppo Carnico.
Un altro muro da abbattere è dunque questo. Tuttavia, come ricordava Basaglia, di cui ricordiamo i quaranta anni dalla scomparsa, i manicomi possono tornare. E non basta chiuderli, bisogna costruire le alternative. Per questo la modifica del Codice Rocco, con l’abolizione del doppio binario per i «folli rei» restituisce cittadinanza e, insieme, reclama un cambiamento radicale della drammatica condizione nelle carceri, la piena attuazione della riforma per il superamento degli Opg, e un rilancio del welfare, per assicurare il pieno diritto alla tutela della salute e alla cura.
C’è dunque uno strettissimo legame tra l’iniziativa per sostenere questa legge e la mobilitazione della Conferenza nazionale per la Salute Mentale per il potenziamento dei DSM e di servizi sociosanitari diffusi nel territorio, indispensabili per assicurare percorsi di cura, in carcere e fuori, per l’emancipazione sociale delle persone.
Il seminario è ristretto ai partecipanti prenotati, ma sarà registrato e disponibile sul sito della Società della Ragione. Inoltre, il volume Il muro dell’imputabilità: dopo la chiusura degli Opg, la riforma del regime legale dei «folli rei» è disponibile per chi lo richieda. Si confronteranno gli attori protagonisti di questa sfida: psichiatri e operatori della salute mentale, avvocati, magistrati, cittadini utenti, associazioni impegnate nel campo dei diritti civili e sociali.
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