Visioni

Flussi di musica e immagini, il grande sogno di Duke Ellington

Flussi di musica e immagini, il grande sogno di Duke Ellington«Downbit Duke», omaggio fantascientifico a Duke Ellington – cortesia Torino Jazz Festival

Note sparse Un doc di Maresco, incontri, live set: gli omaggio al grande compositore del Torino Jazz Festival

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 1 maggio 2024

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«Ellington nel jazz è come Natale e Pasqua», dice Franco Maresco in Steve e il Duca: e raccomanda di ricordarsi «di santificare le feste». Non se ne è scordato il Torino Jazz Festival, che al grande compositore, bandleader, pianista ha dedicato quest’anno diversi appuntamenti in cartellone, sotto l’intestazione «Ellington 50» (50 anni dalla morte, 24 maggio 1974; ma anche, proprio in coincidenza con la rassegna, 125 dalla nascita, 29 aprile 1899). Informato quando il programma stava già per andare in stampa della possibilità di un film in tema con Maresco, Stefano Zenni, direttore artistico del Tjf, ha trovato in men che non si dica le risorse per metterlo insieme, e il lavoro, intitolato al volo appunto Steve e il Duca, ha fatto in tempo ad essere presentato come coproduzione Cinico Cinema, TJF e Museo Nazionale del Cinema.
«Steve e il Duca» racconta la storica esibizione a Palermo Pop 70

FIRMATO da Germano Maccioni, con la partecipazione di Maresco, in 40 minuti Steve e il Duca riesce ad intrecciare in maniera formidabile oltre che spesso irresistibilmente esilarante l’evocazione di Palermo Pop 70 allo stadio che allora si chiamava La Favorita, festival – per l’Italia pionieristico – in cui Duke Ellington si esibì con la sua orchestra, la ricostruzione del clima della Palermo primi anni ‘70 e poi di quello della «primavera» dei ‘90, l’autobiografia di Maresco con la sua passione per il jazz e il suo cinema, nonché riprese di Steve Lacy che nel ‘99, nella cornice dello Spasimo, non in concerto ma a beneficio della telecamera suona in solo al soprano brani ellingtoniani e parla della musica di Duke (altri anniversari: 90 anni dalla nascita e 20 dalla morte di Lacy). L’assemblaggio dei piani di Steve e il Duca è strepitoso: ma naturalmente poi un appassionato di jazz muore dalla voglia di vedere anche tutti e dieci i brani di Ellington interpretati in quell’occasione e tutta l’intervista.

IN EFFETTI quel materiale preziosissimo fu presentato al Torino Film Festival già nel ‘99, come Steve Plays Duke, regia di Maresco e Ciprì, cortometraggio che però non ebbe poi nessuna circolazione o quasi: bisognerebbe assolutamente riuscire a recuperarlo, e chissà che non possa pensarci proprio il Tjf.
Splendida la Suite Duke di Alexander Hawkins, pianoforte, immagini, concept, e Matthew Wright, giradischi, campionamenti, sound design e film, nata da una commissione del festival e presentata dai due musicisti inglesi al Piccolo Regio: con un pianismo denso, sensibile, inquieto, Hawkins ha rimuginato su Ellington evitando di adagiarsi sui temi; fine, calibratissimo, Wright ha contribuito a dare una dimensione onirica al flusso di musica e immagini, intriso per Hawkins di risvolti affettivi; per niente illustrativo e didascalico, invece minimalista e fantasmatico l’uso delle fotografie, prese dalla collezione del padre del pianista, giovane fan ai concerti di Ellington in Gran Bretagna nella prima metà dei ‘60: quasi un’ora senza soluzione di continuità e senza ombra di banalità, con una chiusa folgorante, la voce, quasi senza accompagnamento, di Mahalia Jackson che intona Come Sunday.

Mathieu Amalric e i lavori su John Zorn, protagonista dell’avanguardia

NON SI SAPREBBE bene a quali feste paragonare John Zorn, ma il Tjf ha santificato a dovere anche lui. Mathieu Amalric è arrivato per presentare i suoi tre (finora) film dedicati al grande protagonista dell’avanguardia, e, estremamente alla mano, ha dialogato generosamente col pubblico. L’attore e regista francese ha cominciato a seguire Zorn con la macchina da presa – «faccio tutto da solo, camera e suono», tiene a sottolineare – nel 2010, e non si è più fermato; completati rispettivamente nel 2016, 2018 e 2022, bellissimi, Zorn I, II e III vanno emotivamente in crescendo, dal patchwork di live e prove, cucito assieme senza commenti, del primo, alla «storia», quella della celebre soprano Barbara Hannigan richiesta da Zorn come interprete del suo Jumalattarett, del terzo, un docu veramente appassionante.
Poi John Zorn in carne ed ossa, col suo quartetto New Masada, all’Auditorium Giovanni Agnelli al Lingotto, esaurito (1900 posti) da un pubblico entusiasta. Poco prima, alla Sala 500 sempre al Lingotto e pure esaurita (appunto 500 posti), in duo con Michele Rabbia, percussioni ed elettronica, Roscoe Mitchell (83 anni), sassofoni, ineffabile, o magari beckettiano.

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