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Floppisti sì, ma di successo. La meritocrazia dell’era Renzi

Floppisti sì, ma di successo. La meritocrazia dell’era RenziAntonio Campo Dall'Orto

I fenomeni Conti in rosso e share a picco, le medaglie dei nuovi dirigenti

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 7 agosto 2015

Merito, capacità o, per lo meno, «riconosciuto prestigio e competenza professionale» (e anche «notoria indipendenza di comportamenti»), come richiede perfino la legge Gasparri fra i requisiti indispensabili per essere nominati alla governance Rai. Ma evidentemente la meritocrazia all’epoca di Renzi è un concetto complesso, contraddittorio, reversibile. O almeno suscettibile di ampia interpretazione. Succede così che ieri il presidente del consiglio ha salutato la nomina del manager Antonio Campo Dall’Orto a direttore generale Rai e quella di Monica Maggioni a presidente come una scommessa «su professionalità e competenza». E di scommessa, in effetti, si tratta. Anche un po’ azzardata.

Perché il manager Campo Dall’Orto nel suo curriculum vanta, in mezzo a galleggiamenti e navigazioni, almeno un’esperienza disastrosa non proprio in linea con i propositi di spending review di Viale Mazzini. Accadde nel 2007 a La7 da dove, da amministratore delegato di Telecom Italia, allora proprietaria della rete, e insieme da direttore di La7 e Mtv, è costretto ad andare via lasciando dietro di sé un rosso da 103,6 milioni. In quell’occasione Dall’Orto ha messo in currculum anche un precedente non smagliante quanto a libertà di espressione. In quello stesso anno infatti chiude su due piedi la trasmissione Decameron di Daniele Luttazzi, «via sms» come spiegherà l’autore satirico che aveva dedicato un monologo al vetriolo a Giuliano Ferrara (Luttazzi poi fa causa contro la rete e la vince). Dall’Orto lo licenzia parlando di «uso improprio della tv», proprio come aveva fatto cinque anni prima Berlusconi a proposito di Michele Santoro, lo stesso Luttazzi e Marco Travaglio nel famoso ’editto bulgaro’ del 2002. Macchie lavate poi in Arno, alla Leopolda, dove il manager è andato ripetutamente a risciaquare il curriculum e a intonare interventi profetici all’indirizzo di Matteo Renzi, del genere «lo sapevo che ce l’avremmo fatta».

A proposito di ’meriti’ non è da meno la nuova presidente Maggioni che da ieri ha lasciato la direzione di Rainews. Anche lei non si è particolarmente preoccupata di pluralismo interno alla rete, a giudicare dai giornalisti in auge durante la precedente direzione di Corradino Mineo che poi si sono ritrovati ’sollevati’ da molti incarichi nel nuovo corso.

Ma passi lo spoil system, se produce aria fresca e risultati. Che in tv si misurano in share e ascolti. Purtroppo non è andata così. A ricordarlo con acidità ieri è stato un post sul blog di Beppe Grillo. «La direzione di RaiNews24 è stata, in più di due anni e mezzo, letteralmente disastrosa nonostante siano aumentati budget, mezzi e personale (ben 120 dipendenti) della rete all-news da quando lei la dirige», scrive Massimo Lafranconi, che mette in fila dati già circolati in passato ma con minore successo di stampa. «Dal 10 gennaio 2013: share medio 2013 0,68%; share medio 2014 0,57%; share medio 2015 0,52% (primi 6 mesi)». Una performance non proprio brillante e per giunta in costante calo. «Dati terrificanti da vero flop», prosegue il post, «che, in qualsiasi azienda privata, avrebbero portato la Maggioni al licenziamento in tronco per manifesta incapacità». Invece arriva la superpromozione. Per il grillino la spiegazione è ovvia e va ben al di là delle contraddizioni di Renzi e della sua «meritocrazia al contrario»: Maggioni sarebbe «una raccomandata di ferro, che bazzica gli ambienti antidemocratici ed elitari della Commissione Trilaterale e del Bilderberg».

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