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Flick: «Fu un procuratore sobrio in anni di spinte rischiose»

Flick: «Fu un procuratore sobrio in anni di spinte rischiose»L'ex ministro Giovanni Maria Flick – LaPresse

L’ex ministro e presidente della Corte Costituzionale «Nel ’93 gli scrissi i miei dubbi in una lettera pubblica. Nacque un dialogo e un libro. Ciascuno rimase sulle proprie posizioni, ma con rispetto reciproco. Una cosa oggi inimmaginabile». «Non aveva un progetto politico. Non potrei dire lo stesso di altri del pool. Ha guidato i suoi uomini con mano saggia, credo a volte anche ammonendoli». «Certi interventi dei pm hanno alimentato i giudizi sommari e le tricoteuse della ghigliottina. Ma Manipulite non fu la madre dell’antipolitica. Al massimo la zia nobile»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 21 luglio 2019

Il professore Giovanni Maria Flick, già ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Consulta, accetta questa conversazione «per gratitudine e stima verso Francesco Saverio Borrelli, tra le migliori persone che abbia conosciuto». Negli anni 90 si incontravano talvolta in montagna, le loro conversazioni erano «un confronto fra persone certo diverse, ma con una grande stima di fondo», racconta. Un confronto che divenne pubblico nel 1993 quando Flick, allora docente di diritto penale e avvocato penalista, scrisse sul Sole 24 ore una «Lettera a un procuratore della Repubblica», avanzando dubbi che oggi definiremo garantisti sull’azione di Manipulite. Borrelli rispose. Divenne un libro che, scrive Enzo Biagi nella prefazione, «fa meditare». Vale per quegli anni e vale ancora oggi. «Erano anni di emergenza, ma non lontani dagli attuali. Si corrompeva e si rubava per fare politica. Adesso si fa politica e si corrompe per rubare».

Come nacque quel vostro dialogo epistolare?

Discutemmo a lungo. Conoscevo Borrelli come persona estremamente seria. Io ero professore di diritto penale dell’economia e da avvocato avevo assunto la difesa di alcuni imputati di Manipulite. Da cittadino guardavo al suo lavoro con gratitudine e perplessità, da esperto della materia cercavo un confronto su questioni che alimentavano la mia perplessità. Il punto era: che fare per uscire dall’emergenza morale e ristabilire un clima di ‘ordinaria legalità’? Come uscire da Tangentopoli attraverso Manipulite? Ciascuno di noi rimase sulle proprie posizioni, ma con rispetto reciproco. Una cosa oggi inimmaginabile».

Per prima cosa affrontaste il tema del ‘sistema corruttivo’.

Il tema era il rapporto fra economia legale, economia illegale – il nero dell’evasione – ed economia criminale. E non era certo una novità, ma era tranquillamente ignorato. Già allora alcuni avvertivano il rischio di un’identificazione fra corruzione e criminalità organizzata, che sono realtà diverse anche se possono essere affrontate con strumenti comuni di indagine. Al fondo di Tangentopoli, su questo eravamo d’accordo, c’era il ritardo sul tema della trasparenza, della legalità finanziaria e dell’efficienza fiscale, insomma di una moderna regolazione dei mercati. Già allora mi occupai anch’io di alcune proposte. In seguito in materia di criminalità organizzata la prevenzione si è sviluppata. In materia di corruzione molto meno, nonostante Manipulite. Poi ponevo, come altri, alcuni dubbi in tema di costituzionalità.

Le garanzie per l’indagato?

Dubbi che ho tutt’ora. Chiesi: li mettete dentro per farli parlare? No, rispose, ‘li mettiamo fuori quando hanno parlato’. In quegli anni c’era l’idea del ritorno alla legalità attraverso spinte forti e rischiose in tema di diritto al silenzio e libertà personale. Ci furono molti suicidi in carcere, come Gabriele Cagliari e Raul Gardini. O invece anche persone come il ministro Darida che venne assolto dopo una detenzione preventiva affrontata con molta dignità. Lì iniziò il confronto fra forcaioli e chi, come i radicali – o come gli indagati, per altre ragioni – riteneva che i magistrati si stessero sostituendo alla politica.

Lei segnalava i problemi del sistema giuridico ed economico di allora. Quei pm perseguivano i reati ma anche combattevano ‘quel sistema’?

È un vecchio problema di fondo. Il magistrato deve giudicare un fatto specifico e una responsabilità personale. Ma è difficile a che a un certo punto non abbia la tentazione di pensare che il proprio compito sia anche quello di intervenire per riformare il sistema.

Quello che alcuni definiscono il ‘progetto politico’ dei magistrati di Manipulite stava nelle cose, quindi non era evitabile?

Non era inevitabile. Ma Borrelli non aveva un progetto politico. Non potrei dire lo stesso di altri del pool. Quando divenni ministro promossi un’azione disciplinare contro uno di loro che disse che l’Italia doveva essere «rivoltata come un calzino». Fu bocciata dal Csm.

Cita una famosa frase di Piercamillo Davigo.

No, lo cita lei. Io parlo della questione più generale. Da ministro non ritenevo che il compito della magistratura fosse rivoltare il paese come un calzino. Né che la magistratura dovesse fare supplenza alla politica.

Un tema anche dei nostri giorni?

Sì. Ma Borrelli ha sempre rispettato i limiti del suo ruolo. Non altrettanto forse si può dire di tutto il pool. Borrelli è stato un grande magistrato e un grande uomo. Ha guidato i suoi con mano saggia, credo a volte anche ammonendoli. Ricordo il nostro incontro la mattina in cui si suicidò Gardini, di cui avevo assunto da poco la difesa. Fu intenso. Sapevamo di avere compiti diversi, ma entrambi drammatici.

Quel ‘Resistere, resistere, resistere’ non andava al di là del suo ruolo di procuratore generale?

Fu il suo testamento, lo pronunciò al suo ultimo intervento da procuratore generale. Ma attenzione: parlava da cittadino e del pericolo per le istituzioni. Oggi siamo immersi in una profonda crisi istituzionale. Il ruolo delle istituzioni viene quotidianamente demolito. In tanti modi: quando un ministro non risponde al parlamento, quando usa parole peggiori delle pietre. E così la magistratura, che si è demolita da sé. Ai miei tempi la degenerazione correntizia non era così conclamata.

Il discredito delle istituzioni non inizia proprio negli anni di Manipulite, con l’esposizione mediatica dei pm e delle inchieste?

Di questo però dobbiamo chiedere conto anche e soprattutto ai media.

La gestione delle notizie delle indagini era dei magistrati che le distillavano.

Certo, qualcuno ha utilizzato i media per costruirsi una popolarità. Vi sono state delle esagerazioni. Ma non si possono attribuire a Borrelli. Può essere che non abbia saputo controllarle, ma la linea che dava al pool era sobria. Lui non compariva. Fino all’ultimo ‘resistere’. Infatti le sue recenti perplessità su Manipulite non mi sembra siano state un riconoscimento di colpa ma l’amarezza e la delusione per i risultati: è mancata completamente la formazione di una cultura della vergogna e della reputazione. Quel ‘resistere’ fu un’indicazione che ha dato perché sapeva di lasciare la toga. Un esempio, in tempi in cui troppi magistrati hanno usato la porta girevole tra la politica e la giustizia. La politica ha spesso chiamato i magistrati. Lui ha detto no fino alla fine.

In realtà alcuni magistrati si sono proposti da sé.

Certo, non siamo al Manzoni, ‘la sventurata rispose’. Ma quella porta girevole va chiusa con i catenacci. Il passaggio fra toga e politica dev’essere definitivo, perché le persone non abbiano il legittimo sospetto che il comportamento tenuto con la toga possa essere finalizzato ad altro interesse. Ma in realtà Manipulite non è un esempio di questo meccanismo. Di Pietro si tolse la toga per entrare in politica. E non mi sembra gli sia andata bene. A me preoccupa di più il magistrato che fa politica restando magistrato.

L’epopea di Manipulite è la madre della rivolta antipolitica e anticasta dei 5 stelle?

L’anticasta nasce dal fatto che la gente davvero non ne poteva più. I partiti dell’arco costituzionale sono scomparsi per colpa loro, non per colpa dei pm. Certo gli interventi della magistratura hanno alimentato i giudizi sommari, le tricoteuse della ghigliottina, lo spettacolo indegno delle monetine al Rafael. Ma la madre no. Forse la zia. Ma la zia nobile.

Lo scarso rigore nel rispetto dei diritti delle persone indagate o incarcerate non ha in quegli anni la sua sanzione paradigmatica?

Guardi, abbiamo una magnifica Costituzione che stiamo cercando di buttar via. Andrebbe appena modernizzata ma è attuale, anche se non attuata. Nella Costituzione c’è un equilibrio. Ora, io non sono d’accordo con magistrati autorevoli e dottori sottili della magistratura sul fatto che siamo un popolo di colpevoli che non sono stati ancora scoperti. Il problema è che di fronte alle violazioni dei diritti costituzionali la magistratura intervenga con urgenza ed energia. Se interviene molti anni dopo non serve più a nulla. Ma dobbiamo stare attenti. È inaccettabile, dicevo, l’idea che siamo tutti colpevoli; o quella che la trasparenza debba essere totale, a 360 gradi, per consentire un controllo dell’opinione pubblica senza alcun rispetto dei limiti che ad essa pone l’art.15 della Costituzione. Ma la doverosa reazione alle violazioni non può essere usata per sostenere che siamo sempre tutti innocenti.

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