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Fleetwood Mac, la band che nacque due volte

Fleetwood Mac, la band che nacque due volteFleetwood Mac

Note sparse In un triplo box «50 Years - Dont' Stop» la vicenda artistica dello storico gruppo, dagli esordi blues al pop rock dei dischi da record come «Rumours»

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 22 gennaio 2019

I Fleetwood Mac sorgono all’ombra di John Mayall, con i cui Bluesbreakers il giovane chitarrista londinese Peter Green, leader del gruppo, ha appena registrato un album, sostituendo Eric Clapton (la formazione comprendeva anche il futuro bassista della band, John McVie). È la fine del ’67 e i Mac, grazie alle vivide note di chitarra e alla duttile voce di Green, riescono a scavare nella violenta ancestralità del blues per forgiare le loro elettriche canzoni come in seguito forse solo i Led Zeppelin saranno in grado di fare. Ma sono i singoli, più che i monotematici lp, a suggerire le nuove frontiere della creatività del chitarrista: Black Magic Woman, Albatross, Man Of The World sono blues metafisici che attraverso la rarefazione straniante del sound erompono in una dimensione semi-onirica, finché il bellissimo Then Play On (’69) non elaborerà queste suggestioni nello spazio di un intero album. Colpito da una forma di psicosi per l’abuso di acidi, Green lascia il gruppo. Tra i membri del nucleo decapitato emerge via via, nel songwriting e alla voce, la tastierista Christine Perfect, moglie di John McVie. Anche altri componenti si distingueranno nella composizione, il che però che non basterà a evitare al gruppo di confezionare una lunga serie di album senza personalità, ondeggianti da un suono West Coast al pop da Fm.

A QUESTO PUNTO la band ha successo soprattutto negli Usa, dove di lì a poco si stabilirà definitivamente. Con l’entrata in formazione del chitarrista Lindsey Buckingham e della sua compagna Stevie Nicks, entrambi songwriter e cantanti, si ristabilisce un’alchimia che non si percepiva dai tempi di Green, sia pure con una direzione totalmente diversa. Si stabiliscono a questo punto due nuclei a livello di songwriting: quello di Christine Perfect, supportata da John McVie, più cristallino e solare, e quello di Buckingham e della roca Stevie Nicks, più oscuro e tormentato. Con Fleetwood Mac (’75) e ancor più con Rumours (’77) la band coglie l’essenza di un certo vocalismo plurale californiano, dai Mamas & The Papas a Crosby, Stills & Nash, per tessere un pop solidamente cromatico ma al tempo stesso intimamente etereo, evanescente, minimale, parallelo alla nascente new wave.

I 14 MILIONI di copie vendute da Rumours, li proiettano sulla vetta dello Star System. La loro risposta allo shock dell’incredibile successo è un doppio album poco commerciale, Tusk (’79) ideato e diretto da Buckingham. Ispirato alle innovazioni della new wave, l’lp è eterogeneo, fragile, sognante, una sorta di manuale dello smarrimento di fine anni ’70. Sarà il loro ultimo capolavoro, poiché da lì in poi i Mac produrranno pop anche di gran classe, ma senza aggiornare significativamente formule già sperimentate. Licenziato dalla Warner, 50 Years – Don’t Stop ha il pregio di riassumere in 3 cd la lunghissima storia del gruppo, dal periodo blues di Peter Green agli anni Dieci del nostro secolo.

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