«È stato il primo film che ha mostrato la break dance (anche nota come breaking) al grande pubblico. È stato un momento storico per la cultura hip hop» (Crazy Legs, Rock Steady crew). In Flashdance, film uscito nelle sale nel 1983, c’è una scena iconica che ha rappresentato una svolta per il breaking e la sua storia, quella in cui la protagonista Alex (Jennifer Beals), giovane saldatrice di giorno e aspirante ballerina di notte, cammina con un’amica per le strade di Pittsburgh; ad un certo punto incontra alcuni giovani che danzano su un marciapiede; le due si fermano ad ammirare le incredibili acrobazie e gli strabilianti passi dei ballerini che si stanno esibendo sulle note di It’s Just Begun dei Jimmy Castor Bunch.

A SCATTI
Inizialmente, vediamo Normski & Mr. Freeze muoversi a scatti sulla musica come fossero dei robot in cortocircuito, padroneggiando lo stile conosciuto come popping, poi entrano in scena Crazy Legs e Frosty Freeze che eseguono dei passi di top, floor rocking e dei backspin; a questo punto le immagini sfumano su Mr. Freeze che, con in mano un ombrello, esegue una back slide, una sorta di moonwalk stile Michael Jackson, prima che Frosty Freeze chiuda in modo teatrale con il dead man drop, suo marchio di fabbrica, lasciandosi cadere con la schiena sull’asfalto.

La scena in «Flashdance» che ha reso popolare la break dance

I giovani protagonisti di questa scena sono membri della Rock Steady Crew, uno dei gruppi pionieri del breaking, disciplina che fa parte insieme al writing, all’mcing e al djing, della cultura hip hop. Quel breve cameo della durata di poco più di novanta secondi ebbe un impatto enorme sull’immaginario giovanile in tutto il mondo, poiché fu una delle prime occasioni nelle quali quella nuova forma di danza, nata nelle strade del Bronx solo qualche anno prima come forma di intrattenimento e sfida tra i giovani afroamericani e latini, veniva mostrata al grande pubblico.
Quei pochi fotogrammi, inclusi in una produzione hollywoodiana, quei brevi frammenti visivi generarono uno shock sufficiente a catalizzare l’interesse di un movimento giovanile a livello internazionale.
Negli Stati Uniti il breaking arrivò per la prima volta all’attenzione dei media quando Martha Cooper, una fotografa che da anni si occupava di graffiti, venne inviata dal New York Post a raccontare una rissa tra giovani nella metropolitana sulla 175esima strada. Il giornale non pubblicò mai le foto della Cooper poiché quei giovani stavano solo ballando. Di lì a poco il breaking sarebbe stato presentato al mondo come trasfigurazione positiva delle lotte fra gang, come alternativa creativa alla violenza degli scontri tra gruppi nelle strade del Bronx, e gran parte della stampa mainstream ne avrebbe elogiato il significato più che lo stile e l’espressione artistica.
Quando nel maggio del 1981 Henry Chalfant, fotografo e documentarista legato al mondo hip hop, presentò una performance della Rock Steady Crew presso il Common Ground di Soho, come parte dello show intitolato Graffiti Rock, portando per la prima volta artisti dell’emergente e ancora poco conosciuta cultura hip hop a esibirsi a downtown, e quando il primo articolo sull’argomento, Breaking Is Hard to Do scritto da Sally Banes e corredato da foto della stessa Cooper apparve sulle pagine del Village Voice, il breaking assunse una posizione dominante nella cultura popolare statunitense.

INATTESO
Dopo l’inatteso successo di Flashdance, Hollywood decise di passare all’incasso; il 1984 e il 1985 videro la produzione di pellicole hip hop indirizzate al pubblico giovanile. Le due più importanti, Breakin’ e Beat Street, furono prodotte in fretta e furia per sfruttare la stagione estiva. Breakin’ portava il cameo della Rock Steady Crew in Flashdance a un altro livello, trasformandolo in un lungometraggio, mentre Beat Street si rifaceva allo spirito originario di competizione tipico dell’hip hop, rimandando a Wild Style, il film di Charlie Ahearn e al documentario Style Wars di Tony Silver e Henry Chalfant. Nello stesso periodo uscirono libri sui fondamenti di quella nuova danza che improvvisamente divenne oggetto di discussione e dibattito di numerosi telegiornali e talk show. Il mondo della pubblicità non fu certo da meno e compagnie come Burger King, Levi’s, Pepsi Cola, Coca-Cola e Panasonic cavalcarono il successo del fenomeno. I b-boy occupavano la copertina di Newsweek nel 1984 e giornali in tutto il Paese seguivano regolarmente artisti ed eventi. Un centinaio di b-boy aprirono le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e i New York City Breakers si esibirono perfino alla festa per la seconda rielezione di Ronald Reagan. Sembra ironico il fatto che i membri della Rock Steady Crew inizialmente non intendessero partecipare al film poiché non volevano che nessuno vedesse i loro passi, così da non poterli imitare.

SCETTICI
Mr Freeze ricorda così quel momento: «All’inizio eravamo piuttosto scettici poiché temevamo che potessero imitare il nostro stile. Ci comportavamo proprio come i dj che per preservare l’originalità della loro selezione musicale strappano le etichette dai dischi. Nella cultura hip hop importa solo chi è il migliore per originalità e stile. Accettammo solo quando Kool Lady Blue ci disse che saremmo stati pagati mille dollari a testa». Migliaia di giovani spettatori in tutto il mondo rimasero elettrizzati dalla bellezza, dall’originalità e dalla forza di quella nuova forma di danza. Senza avere tutorial, né libri dai quali prender spunto, ispirati dalle movenze dei b-boy della Rock Steady Crew cristallizzate in quei pochi fotogrammi, iniziarono a imitarne i movimenti o a inventarne, di necessità, di nuovi. Così il breaking entrò di colpo a far parte della cultura globale, coinvolgendo persone di diverse etnie, classi sociali e Paesi. Joseph Schloss, autore di Foundation: B-boys, B-girls and Hip-Hop Culture in New York, scrive: «È impossibile non citare l’importanza della sequenza della RSC nel film Flashdance; è stato un momento fondamentale nella storia del breaking; in giro per il mondo quasi tutti affermano di averlo visto fare per la prima volta in Flashdance».
In effetti, la maggior parte dei pionieri della cultura hip hop a livello globale non mancano mai di citare l’impatto di quella sequenza sulla loro vita. Così rappa DJ Gruff in DJ Gruff Hip Hop Storia: «A quei tempi, con qualche amico sotto casa mia, un paio di cartoni fissati con il nastro adesivo, flashati per via di Flashdance. Grazie all’arrivo della Rock Steady Crew con il super Crazy Legs ci prese la magia di quel ballo». In questo verso il dj/rapper torinese condensa tutta l’importanza di quella sequenza, soprattutto in un’epoca nella quale Internet ancora non esisteva e il cinema rappresentava il principale motore della diffusione dell’immaginario sulla cultura hip hop. Altri pionieri della scena europea raccontano esperienze simili: «Quando ho visto Flashdance sono rimasto folgorato dalla scena con la Rock Steady Crew. Ho pensato che quella danza fosse la cosa più bella che avessi mai visto» (Storm, Battle Squad); «L’avrò visto migliaia di volte, cercando di imparare quei passi; stiamo parlando di una sequenza iconica che ha rivoluzionato la vita di migliaia di giovani» (Dolby D, London Allstar); «Prima di quel film non sapevamo nulla di quella danza e di quella cultura» (Karima, Aktuel Force). Allo stesso modo, in altri continenti troviamo narrazioni che sembrano scritte su carta carbone: dal coreano Hong 10 (Drifterz Crew) alla senegalese Keyla (Sunu Street Crew) e molti altri. E se una breve sequenza con i b-boy della Rock Steady Crew in Flashdance era stata in grado di elettrizzare l’immaginario giovanile in tutto il mondo, provate a immaginare cosa accadde qualche mese dopo con l’uscita di Wild Style.