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Fitto lancia i ‘ricostruttori’ nel vuoto azzurro

Fitto lancia i ‘ricostruttori’ nel vuoto azzurroRaffaele Fitto (Forza Italia)

Forza Italia Il dissidente: «Non vogliamo rompere con nessuno, porteremo avanti le nostre idee. Ma non lasciamo la destra a Salvini»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 22 febbraio 2015

Può riuscire a Raffaele Fitto ciò che non è riuscito a Fini e Alfano? La sola domanda significativa, al termine dell’annunciato battesimo della prima corrente “ufficiale” nella storia di Forza Italia, i “Ricostruttori”, è questa. In teoria si dovrebbe rispondere di sì: l’auditorium Massimo, all’Eur, è colmo. Qualche nome eccellente, da Cinzia Bonfrisco a Daniele Capezzone, c’è, ma senza abbondare. La parola d’ordine «Non lasciare la destra a Salvini» ha una sua oggettiva forza. I richiami alla continuità con la parabola azzurra sono adeguati. La tattica del viceré pugliese, reso edotto dalla sorte dei suoi predecessori, è astuta e un po’ subdola: puntare i piedi e resistere dentro il partito per figurare non come l’ennesimo “traditore”ma come il solo futuro possibile per il partito. «Questa manifestazione non è contro nessuno ma per guardare avanti. Non vogliamo rompere con nessuno, ma porteremo avanti le nostre idee». Soprattutto, molto più che in passato, si profila un gigantesco vuoto politico: l’assenza di un partito nazionale dichiaratamente di destra in un Paese dove la destra è sempre stata, e ancora è, maggioranza.
Eppure resta molto difficile, quasi impossibile, per Raffele Fitto riempire quel vuoto. Pesa su di lui la stessa maledizione che ha già condannato i tentativi di Fini e di Alfano, ma anche di Casini o, a modo suo, di Giulio Tremonti: tutte creature di Silvio Berlusconi, che all’ex Cavaliere dovevano le loro fortune politiche e la cui vicenda, negli ultimi vent’anni, non era separabile da quella di Berlusconi. Chi, come Fitto, si trova nella stessa posizione non è in grado di rottamare e fallirebbe persino se, come forse sarà per Toti, fossero incoronati direttamente dal regnante. Perché Berlusconi, in una destra che per vent’anni è stata modellata a sua immagine e somiglianza e si è articolata solo e sempre intorno a lui, non è sostituibile se non da qualcuno che con la sua avventura non abbia avuto nulla a che fare. Non a caso, quando dopo la condanna il gran capo aveva, per un attimo, preso in considerazione il “passo indietro”, l’unico nome in grado di raccoglierne l’eredità senza discontinuità laceranti era sembrato quello della figlia, cioè il suo stesso nome.

Dall’altra parte della barricata il gioco è riuscito a Matteo Renzi in parte perché il Pd, prima del suo avvento, era il solo partito non personale che ci fosse, ma in parte anche maggiore perché il sindaco di Firenze era un alieno, vissuto come tale sia dalla base che dalla nomenklatura. Veniva “da fuori”. Non era questo il caso di Fini o Alfano e non è oggi quello di Fitto. La sua rivolta più che prospettare una “ricostruzione” porta il segno della distruzione in atto. Ma ne è un sintomo, non la causa, come pensa Berlusconi nelle sue sfuriate di Arcore.

Tuttavia la vera incognita che pesa sul quadro politico italiano, se non del presente almeno del futuro prossimo, è proprio chi sarà in grado di colmare quel vuoto. Renzi ha in mente un candidato ideale: se stesso. Lavora attivamente per proporsi come leader unico sia della sinistra che della destra, e nel deserto in cui si trova ad agire il gioco sembra anche riuscirgli. Non è però una situazione che possa durare troppo a lungo. Prima o poi quel buco verrà per forza riempito, come stanno provando a fare sia Fitto che Salvini, il primo scontando l’handicap probabilmente insuperabile della provenienza berlusconiana, il secondo quello, altrettanto difficilmente sormontabile, del salto da partito locale a partito nazionale. Ma una cosa è certo: chi riuscirà a incarnare quella leadership dovrà avere il coraggio di spingere da parte, come ha fatto Renzi, un Berlusconi la cui presenza è ormai per la destra solo un ostacolo.

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