«Firestar», l’immaginaria astronave degli Iron Savior
Note sparse Undicesimo album per la band fondata nel 1997. Una delle loro opere migliori
Note sparse Undicesimo album per la band fondata nel 1997. Una delle loro opere migliori
«Nel regno del tuono e dell’acciaio, dove stregoneria e magia sono vere, dove mostri e tiranni andranno incontro al loro fato e moriranno a colpi di spada». Qualcuna tra le parole di In The Realm of Heavy Metal, inno a questo genere così pesante, potente e spesso contaminato con il fantastico ma in maniera assai meno ingenua di come i tanti detrattori sostengono. Questo tributo all’heavy metal è una delle canzoni più esaltanti tra gli innumerevoli prodigi metallici di Firestar, l’undicesimo album degli Iron Savior, che nacquero nel 1997 dalle intuizioni di Kai Hansen (Helloween) e Thomas Stauch (Blind Guardian) e che deve il suo nome a quello di un’astronave immaginaria, la cui avventurosa cronaca continua in modi più o meno espliciti nel corso della discografia della band, una sorta di serie sci-fi lungo il tempo e la musica. Cenni di questa storia aprono l’album, dopo una breve e trionfale introduzione strumentale, tramite i suoni e i versi della velocissima Curse of the Machinery.
NON C’È SOLO un immaginario in Firestar e neppure solo la fantascienza, quella che talvolta potrebbe rivelarsi anticipazione del presente, perché l’album tende a sconfinare tra mitologie, realtà e visioni diverse, come nell’elogio ad un eroe ribelle e mascherato in Mask, Cloak and Sword che potrebbe essere Zorro o qualsiasi altro «cavaliere» del passato o di oggi che diviene «difensore, protettore degli ultimi, dei poveri e dei deboli».
C’È INOLTRE nell’epica polverosa di Across the Wasteland un omaggio dichiarato ed ispirato alla saga della Torre Nera di Stephen King, una serie di romanzi che nel loro continuo sconfinare tra i mondi e le dimensioni risulta esemplare per decifrare le virtuosistiche migrazioni tra temi, storie e universi degli Iron Savior, sebbene lo stile e la forza travolgente del loro power-metal restino gli stessi. Nella possanza iper cinetica di Firestar non c’è un’evidente dilatazione ritmica ma sempre un’urgenza, nessun brano lento, l’unica vera assenza in quella che è una delle loro migliori opere, qualcosa di struggente come Ease your Pain di Skycrest. Firestar è un album strepitoso, la cui dirompenza e il cui motore liberatorio di ebbrezza fanta-dionisiaca non sono stati affievoliti, anzi forse alimentati, dalla grave malattia dello straordinario cantante Piet Sielck, tuttora in chemioterapia ma, sembra e si spera, in via di guarigione.
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