Massimiliano Fiorucci, presidente della Società italiana di pedagogia (Siped), professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, direttore del dipartimento di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre, si candida a rettore dell’ateneo (il 24 maggio il primo turno delle elezioni).

Qual è oggi la prima urgenza per modernizzare le università italiane?
Restituire centralità alle principali missioni dell’Università: ricerca, didattica e terza missione. Per farlo è necessario sburocratizzare il lavoro del personale che in questi anni è stato appesantito in modo inverosimile. L’opportunità offerta dal Pnrr impone un cambio di passo nel sistema di conduzione e gestione della ricerca, con interventi mirati al potenziamento delle strutture dipartimentali e dell’organico. Una buona didattica ha poi bisogno di un rapporto docenti-studenti sostenibile, altrimenti alcune attività sono impraticabili e creatività e protagonismo positivo degli studenti saranno mortificati. Ed è indispensabile garantire una formazione internazionale ai nostri laureati. Infine, favorire il dialogo con la società civile, valorizzando le attività che si rivolgono ai territori e vedono l’Università come centro per lo sviluppo sociale, economico e culturale del Paese.

Come ha impattato la pandemia sull’università, in particolare, su Roma Tre, e cosa è necessario fare per recuperare lo svantaggio?
Le studentesse e gli studenti hanno apprezzato l’impegno dell’intera comunità di Roma Tre nel salvaguardare il loro diritto allo studio, fra lezioni in presenza per lo più limitata, da remoto o registrate. È tempo di un ritorno alla “normalità” , alla didattica in presenza. Non vanno però dissipate le tante competenze acquisite in questi anni dai docenti, che hanno rinnovato profondamente le modalità d’insegnamento, così come non devono essere vanificati i notevoli investimenti tecnologici realizzati per l’ammodernamento delle aule. Un’università autenticamente democratica è chiamata a mettere alla portata di tutti l’accesso al sapere. Per questo, senza forzature, è indispensabile non disperdere il know-how acquisito nell’ultimo biennio, e, soprattutto, tutelare i tanti studenti dalla salute vulnerabile e garantire il diritto allo studio di studenti lavoratori e di altre categorie.

L’università italiana è adeguata a misurarsi con il passaggio a una società interculturale?
Da alcuni anni assistiamo alla crescente presenza di studentesse e studenti di seconda generazione in quasi tutti i dipartimenti. Si tratta di un segnale incoraggiante anche se ancora troppo flebile. Il nostro ateneo è molto attento a questi temi ma è necessario fare di più attraverso l’individuazione di politiche di orientamento e tutorato che accompagnino i percorsi per garantire un pieno successo formativo. La riduzione delle asimmetrie di genere e la valorizzazione di tutte le differenze di generazione, cultura, nazionalità, abilità fisica, orientamento sessuale, linguaggio, etc. denota il livello complessivo di civiltà di un’università e, quindi, di un paese.

Nello specifico di Roma Tre, cosa è necessario per garantire una gestione collegiale, democratica e inclusiva?
Un’istituzione articolata e multiforme quale è Roma Tre non può essere gestita se non in modo condiviso e trasparente. È necessario che il rettore sia costantemente affiancato nelle sue funzioni di coordinamento strategico, organizzativo e di proposta culturale, oltre che dagli organi collegiali, come previsto dalle norme statutarie, dai prorettori, dai delegati e dai direttori dei dipartimenti. Il rettore, in sostanza, deve farsi interprete delle esigenze comuni attraverso un attento ascolto di tutte le istanze e una condivisione assidua delle decisioni. Anche considerando la delicata situazione che stiamo vivendo, sarà necessario un impegno continuo per restituire serenità e per garantire un clima di attenzione e di rispetto per tutte le componenti dell’ateneo in una prospettiva inclusiva. La cura della dimensione relazionale dovrà contribuire alla costruzione di un ambiente di lavoro accogliente e confortevole. Gli organi di governo hanno il dovere di creare un clima di lavoro cooperativo, nel quale le relazioni interpersonali e istituzionali siano improntate al rispetto e all’ascolto di tutte e tutti, a prescindere dal grado accademico, dall’area disciplinare o dal ruolo di appartenenza, nel pieno rispetto delle regole democratiche.