Il mondo della musica, soprattutto di quella che nasce per essere applicata, ha spesso riservato delle sorprese, incredibili a volte. Succede che nella vita di un compositore come Fiorenzo Carpi a un certo punto irrompa il bisogno di scrivere qualche cosa di prettamente personale e per la stagione 1957-’58, Victor De Sabata, allora grande direttore artistico e musicale della Scala, gli chieda di scrivere un’opera su libretto di Giorgio Strehler che lo trarrà da La Metamorfosi di Kafka e avrà come titolo La porta divisoria. A questo punto la gestazione del lavoro diventa non semplice, non di facile risoluzione. Quindi Carpi e Strehler si rendono conto che quell’opera non potrà essere rappresentata nella stagione 1957-’58 (doveva andare in scena alla Piccola Scala luogo oramai scomparso) e non succederà neanche nella successiva, sebbene annunciata.

CANTIERE APERTO
Il Piccolo Teatro di Milano nasce nel 1947 da una sinergia fra Giorgio Strehler e Paolo Grassi. Da subito l’indirizzo di questa istituzione popolare e sperimentale ha come obiettivo quello di far nascere tutto in casa, a mo’ di cantiere aperto come quello di Via Broletto dove vi è una struttura messa a disposizione dal Comune; Strehler percepisce subito che all’interno di questo cantiere ci debba essere un compositore «stabile». Fu una importante decisione poiché fino ad allora la figura del compositore che applicava le proprie musiche al teatro non era così importante e fondamentale. Invece dal 1947 nasce questo inscindibile sodalizio che permetterà alla musica applicata di avere una funzione davvero importante e fondamentale, inscindibile dal contesto in cui si esegue. Quindi Carpi incontra Strehler ben presto e da subito nasce l’immortale collaborazione che porterà entrambi ad aprire il teatro secondo la logica della sinestesia. Fu una sorta di miracolo. Fu una vera sinergia che non avrà altri riferimenti di tale spessore. La ditta Carpi-Strehler nasce già dalla prima importante rappresentazione del Piccolo, ossia Le notti dell’ira nel 1947, seguirà Il mago dei prodigi su testo di Pedro Calderon de la Barca e poi arriverà il primo grande successo che si ripeterà nel tempo con il testo di Carlo Goldoni Arlecchino servitore di due padroni, dove la musica di Carpi affidata a un complesso di ottoni e percussioni, propone una chiave di lettura che ha come ascendenza il teatro di strada dell’epoca dell’autore veneziano. Va in scena il 24 luglio 1947 con tre protagonisti eccezionali: Marcello Moretti, Franco Parenti e Checco Rissone.
La loro collaborazione è ricca, basti notare che dal 1947 al 1950 il Piccolo mette in scena ben ventiquattro spettacoli, non tutti a firma di Strehler ma tutti con le musiche scritte da Carpi. Di questo periodo è essenziale ricordare almeno due capolavori La bisbetica domata del 1948-’49 e il Riccardo III, andato in scena nella stagione successiva. Negli anni poi Carpi scriverà per Strehler Macbeth, La vedova scaltra, Il giardino dei ciliegi, Coriolano, Faust, La trilogia della villeggiatura.
Ma la grande capacità di scrittura musicale da applicare al teatro permise a Carpi di collaborare non solo con Strehler ma anche con registi che hanno dato una spinta importante alla storia del teatro. Ad esempio nel 1953 firma le musiche del controverso Il dito nell’occhio di Fo e Parenti o nel 1954 collabora con Vittorio Gasmann per il suo capolavoro Kean , genio e sregolatezza (ma per la versione cinematografica a scrivere le musiche ci sarà Roman Vlad). Segue la collaborazione con Vittorio Caprioli e il Teatro dei Gobbi firmando le musiche di Carnet de notes, Lina e il cavaliere (una commedia musicale) e sue saranno le musiche dei film più importanti diretti da Caprioli (Parigi o cara, Leoni al sole, Splendori e miserie di Madame Royal).
Con Franco Parenti collabora già dal 1955 con Le sedie, I palinsesti, Italia sabato sera fino all’Ambleto di Giovanni Testori, uno dei testi più innovativi del teatro contemporaneo. E poi non bisogna dimenticare il suo sodalizio con Dario Fo, dai tempi della ricerca sulla canzone milanese e quello con Gigi Proietti e Luigi Squarzina.

LAVORO REALE
Nei termini del suo lavoro per Carpi è sempre necessario fare della musica un punto di realtà. Quella realtà che sarà sintesi di un pensiero sinestetico. In questo si trova la genialità del compositore milanese, comprendere come la musica possa essere una parte reale, collegata con il presente nell’ambito di una azione teatrale. Lavora sempre con Strehler a un progetto che è una sorta di teatro musicale, quello che nel periodo natalizio del 1976 mettono in scena alla Piccola Scala, La storia della bambola abbandonata, una favolta dai temi molto toccanti fra i quali una mesta ninna nanna e un tema per fisarmonica talmente bello da diventare una sorta di psiche musicale. Il riferimento al suo personale senso della realtà Carpi lo tocca con l’opera La porta divisoria, un progetto che Strehler aveva tratto da Kafka come si diceva.
È un lavoro difficile, nato in un periodo in cui la vita del compositore subisce una forte scossa con la morte del fratello a cui era estremamente legato. In effetti ne La porta divisoria quello che esce fuori è proprio quella sorta di disperazione dei protagonisti, tutti vivono cercando di porre fine alle proprie vite, ma non in una forma di suicido ma in una modalità di allontanamento, di scomparsa. Quindi non è solo Gregorio Samsa a subire il trapasso ma è tutta la scena che lo vive. E lo sfugge. Per anni quindi Carpi prova a chiudere questo lavoro in un atto e cinque quadri ma riesce in breve ad arrivare fino al quarto quadro. Dall’archivio del Piccolo Teatro di Milano sono uscite fuori le parti, addirittura quelle pronte per la stampa. È certo che Carpi ne ricava anche una suite dal titolo Gregorius Sketches che presenterà in concerto nel 1978. Ma nel corso del tempo, pare che ci lavorasse nei momenti di vacanza. Il linguaggio che usa è seriale, si rifà quindi anche ai modelli del periodo di scrittura degli anni Cinquanta, in qualche modo cerca di narrare il forte disagio della vita dei protagonisti usando una musica che si ispira a Webern e a Brecht, all’espressionismo tedesco, quindi. Nel lavoro di recupero presentato al Teatro Caio Melisso di Spoleto a cura del Teatro Sperimentale Belli, è stata data molta attenzione alle fonti, è stato ridotto il complesso strumentale da sinfonico a cameristico ed è stata data importanza a tutti gli elementi del teatro nel teatro, quelli definiti di musica concreta ma che sono invece i contenuti di una vita vissuta nel teatro. Un lavoro certosino di ricostruzione e di adattamento da parte di Matteo Giuliani ad uso della direzione di Marco Angius. Per dare completezza al lavoro, visto che già esistevano delle linee guida e comunque anche il testo di Strehler completo, Alessandro Solbiati ha scritto il quinto quadro ovviamente con il suo linguaggio. Adesso dopo questa prima, il lavoro di riscoperta di Carpi meriterebbe un investimento verso l’immenso patrimonio teatrale, recuperandone le partiture e le relative esecuzioni.
Così la memoria di uno dei compositori più innovativi del nostro paese e non solo potrà essere di sprone per rendersi conto di quanta intelligenza musicale vi fosse in una epoca in cui ogni incontro apriva una porta verso il futuro.