Economia

Finte coop, la piaga dilagante che uccide lavoro e storia

Finte coop, la piaga dilagante che uccide lavoro e storiaTiziano Renzi, padre di Matteo

Caso Renzi Il caso dei genitori dell'ex premier conferma una delle piaghe più pervasive della nostra economia. Il rispetto del certificato di regolarità contributiva potrebbe ovviare a molti casi di abuso

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 febbraio 2019

Delivery Service, Europe Service e Marmovid. Tre finte cooperative per evadere 700mila euro. Al di là delle polemiche politiche, il caso giudiziario della famiglia Renzi conferma una delle piaghe più pervasive della nostra economia.
Hanno nomi complicati, inversamente proporzionali alla semplicità per aprirle, gestirle e – soprattutto – chiuderle dopo averle riempite di debiti. Il tutto per permettere a grandi imprese – tra i clienti dei Renzi c’erano Carrefour, Conad e Euronics – di guadagnare anch’esse.
Sono lo strumento principe dell’economia in nero che è esplosa con la crisi economica. Le finte coop sono scatole che sfruttano i vantaggi fiscali che la cooperazione si è storicamente guadagnata come modello economico sociale che tutela l’eguaglianza fra i soci e che, specie nel settore dei servizi, permette di pagare in nero i finti soci e di esternalizzare tutti i servizi in perdita.
Poi c’è chi le usa – come i Renzi – anche per emettere fatture false per servizi inesistenti.
Così mentre Matteo Renzi in una recente intervista sosteneva che il padre Tiziano «dopo dieci indagini va a processo per una fattura da 20mila euro: A differenza di altri genitori celebri, mio padre le fatture le faceva, le pagava, le incassava, fanno così le persone oneste», sappiamo invece che lo stesso Renzi fu assunto come dirigente da una delle tante aziende del padre – la Chill – a pochi giorni dall’elezione da presidente della Provicnia di Firenze potendo contare quindi su nove anni di contributi figurativi a carico dello Stato.
L’inchiesta che ha portato ai domiciliari per i Renzi è suffragata dalle dichiarazioni di molti finti soci o collaboratori che dichiarano di essere stati pagati in nero e senza contributi.
La cronaca e i tribunali sono pieni di casi di questo tipo: cassiere che per essere assunte da grandi catene di supermercati devono versare la quota per diventare finte socie di finte cooperative a cui non si applica il contratto nazionale; multinazionali della logistica che sub-appaltano a finte coop i più svariati servizi pur di tagliare il costo del lavoro e i diritti dei lavoratori, costretti ai picchetti (ora resi reato penale dal decreto Salvini) per rivendicarli.
Solo ora le centrali cooperative stanno reagendo a questa ondata di melma che ne sta rovinando la reputazione secolare. Ma i controlli che dovrebbero fare assieme al ministero dello Sviluppo sulle coop – spesso presiedute da prestanome – sono infinitesimali rispetto al numero di finte cooperative nate in questi anni.
Qualche semplice regola però potrebbe facilitare il compito e renderele più trasparenti ed aderenti ai principi fondativi. Primo fra tutti l’obbligo di legare la certificazione di cooperativa al regolare pagamento dei contributi per i soci e collaboratori: il famoso Durc (documento unico di regolarità contributiva) che l’Inps può emettere «in modalità telematica». Basterebbe questo per cancellare buona parte delle finte coop. Anche quelle della famiglia Renzi.

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