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Finisce l’era Chiamparino: tutto il nord al centrodestra

Finisce l’era Chiamparino: tutto il nord al centrodestraL’ex presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino – Foto Ansa

Regioni Vittoria netta del forzista Cirio che sfiora il 50%. Candidato M5s, unico anti Tav, al 13%

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 maggio 2019

L’effetto domino leghista non lascia indenne nemmeno il Piemonte, l’esito era probabile ma forse non con una forbice così ampia tra il vincitore, Alberto Cirio (49,8%), e l’ex presidente Sergio Chiamparino (36,6%). Il Nord Italia è, ora, monocolore. Il nuovo governatore, sconosciuto alla platea nazionale, ma già europarlamentare e assessore regionale di Forza Italia con un passato giovanile nel Carroccio, viene trainato dal successo della Lega (37,2%). Chiamparino, storicamente un nome vincente, per quanto consumato, del centrosinistra (fu sindaco di Torino eletto con cifre bulgare) ammette la sonora sconfitta e annuncia di voler lasciare il proprio seggio a Palazzo Lascaris. Male i Cinque Stelle, con Giorgio Bertola, crollati al 13,3%.

L’ELEZIONE DEL NUOVO presidente avviene in contemporanea all’ufficialità della proposta di fusione tra Fca e Renault. Una decisione che inciderà sui destini di una Regione ancora intrappolata nella crisi economica. Una scelta che manda in soffitta il glorioso marchio Fiat – che porta nel nome la parola Torino – e lascia molti interrogativi sul futuro del settore automotive in Italia come in Piemonte, dato lo stallo produttivo in cui versano da tempo gli stabilimenti di Mirafiori e Grugliasco. Qui, continuano a mancare i modelli per saturare l’occupazione locale. L’alleanza industriale è stata subito benedetta dal neo-presidente Cirio: «Quando i grandi colossi dell’industria automobilistica si alleano è per fare qualcosa di più forte». Un approccio in continuità con tutte le maggioranze, di diverso colore e orientamento, che negli ultimi decenni non hanno evitato né contrastato la fuga all’estero del Lingotto.

Tornando ai risultati, Chiamparino ha resistito a Torino città (50%) e, in parte, nella provincia, ma ha perso in tutto il resto del Piemonte. Quello più profondo. Nelle province di Vercelli, Biella, Verbania e Asti, la Lega ha superato il 45% e il candidato a presidente Cirio ha sfiorato il 60%. Complessivamente l’ex governatore Pd ha perso il 10% rispetto al 2014, elezione in cui il centrodestra si fermò al 22%, con solo il 7,3% portato dalla Lega (ancora) Nord. Il candidato M5s aveva il 21,45%: a guardarla oggi sembra un’era fa, prima del governo del Paese e del capoluogo di Regione.

IL RISULTATO PIEMONTESE è stato determinato dall’onda neroverde che ha coinvolto tutta l’Italia, ma è anche mancata, in Piemonte, una vera alternativa al trend attuale, una proposta innovativa, capace di richiamare al voto, perché no, anche un popolo di sinistra assopito e disilluso. Chiamparino si è assunto la responsabilità della sconfitta, spiegando di voler lasciare «il seggio a qualcun altro per dare inizio a una nuova fase». Ha sottolineato: «Ho 71 anni, mi sono sentito di combattere l’ultima battaglia e non credo di avere più molto da dire». Ha rivendicato i risultati raggiunti: «Abbiamo ridato dignità, credibilità ed utilità economica e sociale all’istituzione regionale». E, dicendo di volersi fare da parte, ha decretato la fine di un’epoca politica.

IL SUO SUCCESSORE, Alberto Cirio, condivide con lui posizione sulla Torino-Lione: «La Tav si farà senza se e senza ma. Anche l’Asti-Cuneo, perché si finiscono le cose che sono iniziate». Così non la pensa Giorgio Bertola, M5s, unico candidato a presidente contrario: «Sulla Tav non cambia nulla, c’è un dossier in mano al presidente Conte, la decisione dell’opera è politica e spetta al governo».
Non c’era nessun candidato presidente a sinistra di Chiamparino; con l’ex governatore dem era, però, alleata la lista Liberi Uguali e Verdi, formata da Sinistra Italiana, Mdp, Verdi e Possibile, che ha incassato il 2,5%.

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