La lunga fase dello smart working nella Pubblica amministrazione è arrivata al capolinea. Il ministro Brunetta aveva già suonato le campane a morto un paio di giorni fa: «È lavoro a domicilio all’italiana. Può servire nell’emergenza ma per il futuro è un abbaglio». Forse con dpcm, strumento adorato da Conte e rispolverato per l’occasione, è pronto: riporterà tutti i dipendenti pubblici dietro le scrivanie e agli sportelli. Manca solo un passaggio necessario, l’introduzione dell’obbligo di Green pass nella Pa, e arriverà presto. Una trattativa con la Lega sul fronte politico e con i sindacati su quello sociale, è inevitabile ma il premier vuole concluderla in fretta, anche per non farsi trovare disarmato di fronte al possibile e anzi prevedibile aumento dei contagi alla fine del mese dovuto alla ripresa delle scuole.

Proprio intorno a quei giorni dovrebbe essere varato il decreto con l’estensione dell’obbligo alla Pa e a tutti i lavori che implicano contatto diretto con il pubblico. Non è affatto escluso però che il premier rinvii a dopo le amministrative, consapevole di quanto sia difficile per la Lega accettare la nuova stretta proprio alla vigilia di una prova elettorale. La sterzata di Biden dall’altra parte dell’oceano offre un ulteriore supporto. Il disegno del presidente Usa, del resto discusso dai ministri della Salute dei due Paesi al G20, somiglia a quello in cantiere, e in parte già operativo, in Italia. Se fino a ieri si poteva rinfacciare a Draghi di aver fatto dell’Italia l’unico Paese occidentale, con la Francia, ad aver adottato misure così rigide, ora la svolta della Casa Bianca rovescia quell’equilibrio.

Tra i ministri, quello che scalpita di più per accelerare i tempi è proprio Brunetta e non si può dire che nasconda o edulcori gli obiettivi del lasciapassare verde. «È una misura geniale», giubila: «Aumenta il costo psichico e monetario per gli opportunisti contrari al vaccino costringendoli al tampone». Brunetta profetizza un’estensione dell’obbligo non solo ai lavoratori del pubblico e del privato ma anche ai fruitori di servizi in entrambi i settori: «Non abbiamo tempo. Dobbiamo arrivare ai livelli di saturazione entro ottobre». Brunetta, si sa, è sempre un pasdaran, su qualsiasi fronte si trovi. Ma il progetto di Draghi non pare essere molto diverso dal suo: procedere con determinazione e gradualità, secondo il modello di Speranza fatto proprio anche da Letta. «Stiamo seguendo una logica giusta di convincimento e non di imposizione, che porti a un’estensione graduale e progressiva», afferma il segretario del Pd. Ma tra un grado e l’altro, cioè fra l’introduzione dell’obbligo nel pubblico e la stessa misura nel privato, dovrebbero passare al massimo poche settimane.

Ieri il piano di palazzo Chigi ha ottenuto il semaforo verde da parte di Confindustria, anche se Bonomi ripete che la via dovrebbe essere quella dell’obbligo vaccinale: «Purtroppo la politica non riesce a trovare una sintesi e la nostra urgenza è mettere al sicuro i posti di lavoro. L’unico strumento è il Green pass e abbiamo chiesto al governo di introdurlo nei luoghi di lavoro». Quella dell’obbligo vaccinale è un’ipotesi che resta sul tavolo e sulla quale insistono sia Confindustria che i sindacati, anche per costringere la politica ad assumersi per intero la responsabilità di scelte e restrizioni. Ma la politica è di parere opposto. Salvini non potrebbe votare l’obbligo. Conte lo considera «l’extrema ratio». Letta, con l’esaltazione del «convincimento» al posto dell’«imposizione», vuole anche segnalare la contrarietà del suo partito. I problemi di ordine costituzionale completano il quadro.

All’obbligo non si arriverà. Ma Salvini dovrà probabilmente accontentarsi di questo.