«Costringere la finanza a salvare il pianeta», ha auspicato il premio Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz. Il problema è come, in mancanza di significativi rapporti di forza. Questo è, al fondo, il problema politico che Andrea Baranes – ricercatore della Fondazione Finanza Etica – si pone nel libro O la borsa o la vita (Ponte alle Grazie, pp. 288, euro 16,90).

BARANES SUGGERISCE alcune soluzioni ispirate al principio dell’«uso dei nostri soldi» che si esplicitano in un «azionariato attivo». Comprare un’azione di un’impresa quotata significa diventarne proprietario, per quanto in percentuale minuscola. E ci sono i doveri: il principale è quello di contribuire alla vita dell’impresa, cercando di influenzarne i comportamenti. Oppure per contestarle dall’interno, come avviene in certi casi mediante l’acquisto diffuso di azioni da parte di associazioni e fondazioni comunitarie. Campagne di disinvestimento si sono sviluppate contro le violazioni dei diritti umani o dell’ambiente, investimenti in armi, pornografia o alcol.

IN EUROPA LE ORGANIZZA, ad esempio, la Shareholders for Change, una rete di azionisti «critici» che condividono informazioni e si presentano insieme alle assemblee delle imprese. La fondazione Finanza Etica è presente in Eni, Enel e altre grandi aziende italiane. Di recente sono nate coalizioni con focus mirato sulle questioni climatiche come la Climate Action 100+.

C’è però ancora molta strada da fare per allineare le belle parole sulle emissioni zero alle decisioni concrete dei loro aderenti. Le idee sono presenti anche tra i maggiori fondi capitalisti del mondo che hanno dichiarato l’impegno nel finanziamento della «transizione climatica». Uno su tutti: il gigante BlackRock. Non hanno sostenuto oltre un terzo delle risoluzioni legate all’ambiente e al clima.

Il problema è dunque politico e dialettico, come sempre nel capitalismo. I suoi campioni si appropriano della critica e la ribaltano nell’opposto per ripulirsi l’immagine di inquinatori, sfruttatori e speculatori. Si chiama greenwashing e anche «finanza sostenibile», Baranes lo spiega con una ricchezza di esempi. Per fare un ulteriore salto di qualità, serve un sostegno da parte delle istituzioni. Dunque, un’altra politica. E un altro rapporto di forza per mettere il sistema finanziario al servizio di una trasformazione del sistema produttivo e politico.

Ipotesi a dir poco remote, oggi. Ma è proprio questo senso di impossibilità ad essere funzionale alla creazione del potere assoluto manifestato da entità onnipotenti e fantasmatiche. Il nesso è stato individuato dai classici del pensiero politico e collabora alla creazione di quel desiderio di essere governati funzionale al consenso del potere. Baranes lo ha individuato nella finanza. E spiega come usare gli strumenti a disposizione per realizzare un progetto politico, ribaltando l’organizzazione delle possibilità nella realtà.

IL LIBRO PROSPETTA la creazione di una «finanza civile», governata nell’interesse dei popoli, non dei capitali. Non c’è l’evocazione di un assalto al «Palazzo d’inverno», più sfuggente che mai in questo caso, ma la costruzione del consenso dai singoli e dalle comunità partecipanti. Una finanza è «etica» perché è legata all’economia «reale», ai diritti del lavoro e a quelli umani, al modo democratico di produrre e alla tipologia dei prodotti anche finanziari. Soprattutto questa finanza è regolata dalla tassazione dei capitali, vuole separare le banche commerciali da quelle di investimento, si propone il contrasto ai paradisi fiscali e un limite all’uso dei derivati.

La perplessità sull’essere poco più di «una goccia nell’oceano» è fondata, forte è la sensazione di irrilevanza, scrive Baranes. E tuttavia la sua ipotesi di una politicizzazione del denaro è un passo verso la distruzione di un enigma che domina la religione capitalista. La finanza è anche basata sulle risorse fornite da decine di milioni di clienti, lavoratori, piccoli risparmiatori. Se il nostro deposito sul conto corrente può sembrare irrilevante sono però i nostri soldi ad alimentare oggi un sistema che crea crisi, diseguaglianze e con enormi impatti sul clima e sul pianeta.

PARLIAMO DI BANCHE, fondi pensione, fondi di investimento e assicurazioni. Sono un campo di battaglia per creare uno strumento al servizio delle persone e del pianeta. Potrebbero funzionare con il principio «una testa, un voto» e non di «un euro, un voto». Perché il capitalismo è un rapporto sociale e la politica la fanno le masse in carne ed ossa. Non vanno mai dimenticati i fondamentali.