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Finalmente la legge sul bio, ma attenti ai decreti attuativi

Il Paese campione di biodiversità e ai primi posti in Europa nel settore del bio per esportazioni e consumi interni ha finalmente fatto un ulteriore passo avanti verso l’approvazione di […]

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 maggio 2021

Il Paese campione di biodiversità e ai primi posti in Europa nel settore del bio per esportazioni e consumi interni ha finalmente fatto un ulteriore passo avanti verso l’approvazione di una legge sul biologico. Non possiamo che applaudire a un segnale della politica che dimostra finalmente di dare ascolto ai sempre più numerosi consumatori che credono nel biologico, di riconoscere giusta dignità ai tanti (circa 80 mila) imprenditori agricoli del nostro territorio e che soprattutto sembra aver compreso l’importanza strategica del comparto che rappresenta l’agroalimentare italiano. Si è già detto molto sull’agricoltura biodinamica: senza di essa avremmo avuto un testo monco e carente. La direzione presa sembra essere quella giusta. Ma i rischi di sbagliare strada sono sempre dietro l’angolo, visti i punti di debolezza del testo. Cominciamo dal Tavolo tecnico al Mipaaf. È necessario che il biologico sia rappresentato dalle Associazion di riferimento, non in modo predominante da quelle a vocazione agricola che tutelano altri tipi di agricoltura e solo marginalmente il settore. Passiamo poi all’unica Organizzazione interprofessionale prevista: un serio rischio di monopolio sia da un punto di vista economico, con ricadute sul consumatore, sia di rappresentanza per le aziende. Ci auguriamo che il mondo del bio attivi più organizzazioni sulle singole filiere. L’art. 8 del testo è dedicato alle sementi: sono anni che Aiab chiede un Piano Sementiero Nazionale pensato per il bio. Bene che la legge lo citi, ma bisogna stanziare le giuste risorse per un piano di ricerca partecipata con le aziende bio. Sul fondamentale tema della ricerca il testo purtroppo tiene un profilo basso. Per ora non fa che confermare i fondi già previsti, ma su questo punto è necessaria meno timidezza: le risorse stanziate fino a ora non bastano. Bisogna trovarne altre perché il biologico non è, come alcuni ancora credono, l’agricoltura del nonno. Al contrario, il suo sviluppo non può prescindere da una ricerca scientifica adeguatamente sostenuta. C’è poi la questione dei biodistretti, uno strumento pensato da Aiab nel 2009 e di cui ci piace rivendicare la paternità. Ci auguriamo che la sua definizione legislativa ne migliori e ne valorizzi l’assetto fin qui raggiunto, senza snaturarlo, dequalificarlo e renderlo oggetto di una pericolosa speculazione da parte delle regioni. Il nuovo marchio introdotto dalla legge può essere un bel segno distintivo per il biologico italiano, purché diventi simbolo di garanzia e di trasparenza sull’origine dei prodotti valorizzando le produzioni nazionali, nonché un ulteriore strumento di tutela dei consumatori e delle aziende. Per renderlo ancora più selettivo rispetto al marchio europeo definito dal nuovo Regolamento 848/18 che entrerà in vigore dal 2022, potrebbe inglobare in sé i severi requisiti della mancanza totale di residualità da contaminazioni accidentali prevista attualmente dal decreto ministeriale 309/11. Così facendo, a parità di marchio europeo, le aziende italiane potrebbero avere più visibilità sui mercati nazionali e internazionali distinguendosi fra tutti per origine e qualità. Non può mancare un appello affinché nel Piano Strategico Nazionale il bio assuma il ruolo determinante che merita per l’agricoltura del futuro. Perché il bio non è più solo un metodo di produzione ma uno strumento politico per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal Europeo.

* Presidente Associazione italiana agricoltura biologica

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