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Final Fantasy XVI, fantasia sulla realtà

Final Fantasy XVI, fantasia sulla realtà

Games Un gioco d'azione, non eccessivamente sbilanciato verso la pura evasione

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 luglio 2023

C’è una bambina triste, sembra abbia perso il suo adorato cagnolino, così lo vado a cercare per lei. Pare che la bestiola abbia un ciuffo bianco. Mi inoltro tra l’erba alta di una prateria costiera e giungo nei pressi di una vecchia fattoria. C’è qualcosa di chiaro tra la vegetazione, di inerte.
Non è pelo, sono capelli. Non si è mai trattato di un cane ma di un essere umano, una schiava che giace morta.

Mi dirà dopo la bambina, triste eppure sollevata e con un odioso senso di anticipazione, che presto avrà una schiava nuova, purtroppo non durano mai tanto. Le darà il solito nome, come a tutte le altre.
Questa non è che una piccola storia ignobile contenuta in quest’affresco favoloso nel quale si mimetizza il cupo presente che è Final Fantasy XVI, l’ultima discussa fantasia finale di Square-Enix in esclusiva per PlayStation 5 che ha scelto una via al contempo rivoluzionaria e commerciale per ridisegnare la saga, trasformandola in un gioco d’azione ma non troppo per risultare accessibile ad un pubblico più vasto possibile e per questo ha alimentando innumerevoli critiche in chi cerca sfide più complesse, o almeno la possibilità di una maggiore difficoltà. Una novelletta che è solo una missione secondaria, una delle migliori e più ispirate tra tante meno interessanti, sebbene verso la fine del gioco si realizza che anche l’attività opzionale in apparenza più insulsa contribuisce alla costruzione di una grande storia, a fornire una quotidianità che affianca l’epica dell’intreccio principale, ad edificare una «stimmung».

Ci sono senza dubbio elementi criticabili e discutibili in Final Fantasy XVI (scrive a proposito Giulia Martino in queste pagine), ma qui consideriamo davvero fastidiose solo l’impossibilità di pulire le bellissime immagini dalle statistiche, le scritte, le indicazioni e i numeri che le affollano o l’anonimo se non talvolta sciatto disegno di alcuni personaggi di contorno. Tuttavia Final Fantasy XVI possiede un’intensità drammatica, politica ed estetica che la rende la fantasia finale più importante e riuscita dai tempi del decimo episodio. Se secondo i suoi autori è stato fondamentale ispirarsi ai romanzi di Martin delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (dai quali è stata tratta la celeberrima serie tv del Trono di Spade)al fine di scrivere un dramma più adulto e violento, è altrettanto vero che questo sedicesimo «episodio» sia un Final Fantasy in tutto, per l’incantato lirismo di alcuni momenti, per un pathos che è squisitamente giapponese con le sue iperboli, per i traumi atlantici che affliggono i protagonisti, per la dialettica sentimentale patetica e tenera.

Valisthea, il mondo fantastico e medievaleggiante in cui è ambientato Final Fantasy XVI, è afflitto dalle guerre, da innumerevoli e atroci forme di schiavismo. Ci sono migrazioni disperate, catastrofi ambientali e il dominio dei potenti sul popolo è spietato. Insomma, oggi. In questo atro scenario vestiamo l’armatura avita di Clive, nobile rampollo di una casata illuminata ma decaduta in un bagno di sangue, un ragazzo tradito nel peggiore dei modi persino dalla madre e da questa reso schiavo. Final Fantasy XVI è la storia di un’insurrezione che diventa rivoluzione con Clive suo definitivo capitano, accompagnato da altri grandi personaggi che non controlliamo ma amiamo e da un piccolo esercito di ribelli. Clive può contare su un potere straordinario e mostruoso, quello degli Eikon, ovvero quelle bestie leggendarie che tornano in forma e funzionalità diversa in ogni fantasia finale. Il potere di fuoco, morte e vita di Ifrit e Phoenix, quello fulminante di Ramuh, la terra di Titan, i venti di Garuda, il ghiaccio di Shiva, l’acciaio di Odino, i raggi «godzilliani» del drago di Bahamuth. Questa facoltà terrificante dà luogo a segmenti ludici di una spettacolarità magniloquente e devastante, a battaglie colossali (ma appunto mai difficili) che sono una visione di surreale, quasi astratta meravigliosa violenza elementale.

Forse la difficoltà in Final Fantasy XVI risiede proprio nel giocarlo per alimentare bellezza; c’è chi ha scritto che si può finire premendo un tasto solo, cosa comunque discutibile, ma assecondare la facilità del gioco significa non produrre proprio quella fantasmagorica qualità visionaria che questo mette a disposizione con la sua spietata linearità che nemmeno l’opzionalità di alcune derive riesce a infrangere.

Enfiato e dismisura con magniloquenti e lunghissimi segmenti cinematografici non interattivi dalla più che pregevole regia e messa in scena, Final Fantasy XVI è musicato da Masayoshi Soken e la sua partitura contribuisce alla «grandeur» emozionale del gioco oltre che a connetterlo, tramite preziose citazioni di temi storici dell’ancora impareggiabile Nobuo Uematsu, ai panorami sonori ancestrali della «serie» la cui numerazione, ricordiamo, non è da intendersi come narrativa ma in un’accezione sinfonica, perché ogni fantasia finale è un universo a se stante.

Con un atteggiamento produttivo diverso verso quelle che si sono rivelati essere i suoi punti deboli (perché non sarebbe stato un lavoro complesso implementare dall’inizio la possibilità di selezione della difficoltà superiore che invece si può sbloccare solo alla fine del gioco o mettere l’opzione di pulire le immagini da numeri e parole per esaltarle in tutta la loro beltà) Final Fantasy XVI avrebbe potuto essere un videogame ancora più grande e coinvolgente, una cosa comunque difficile nell’anno in cui è uscito un capolavoro assoluto come Legend of Zelda Tears of the Kingdom. Ciononostante si tratta di un’epopea tragica che sale verso esiti drammatici sconvolgenti e può essere intrapresa anche da chi non ha dimestichezza con il controller, un’elegia di un mondo fantastico che risuona in maniera sinistra e significativa altrettanto adeguata con gli orrori del nostro; in un presente dove ancora si producono e si vendono a milioni osceni «sparatutto» militari propagandistici, questa è una cosa confortante.

La crisi del kolossal
di Giulia Martino

Galeotto fu il pennarello che, invece di coprire, mise a nudo i costi esorbitanti di alcune fra le produzioni videoludiche più gargantuesche di questi anni. Per la precisione, 215 milioni di dollari per Horizon Forbidden West, e 220 milioni per The Last of Us Parte 2. Il tutto è emerso da un documento riguardante titoli Sony e prodotto nel corso del procedimento che vede opposte Microsoft e Federal Trade Commission, nell’ambito della tormentata acquisizione di Activision da parte della compagnia fondata da Bill Gates. Sono cifre impressionanti, corredate da tempistiche di sviluppo molto dilatate nel tempo (circa cinque anni per entrambi i videogiochi citati) e dall’impiego di centinaia di persone in fase di produzione. Aggiungiamo a margine la considerazione che i costi menzionati nel documento non sembrano comprensivi delle spese di marketing, sempre ingenti nel caso di grandi blockbuster. È anche all’interno di questo quadro che va pensato Final Fantasy XVI, ultima fatica del colosso nipponico Square Enix.

Otto anni di sviluppo travagliato e l’accordo con Sony per la pubblicazioni in esclusiva su console PlayStation 5 – a lungo segnate da problemi di approvvigionamento, e quindi diffuse sul mercato in numeri inferiori rispetto alle attese – hanno comportato un focus imperativo sul marketing del titolo e sulla sua apertura a un pubblico che potesse essere il più ampio possibile.

Il producer Naoki Yoshida, protagonista dello spettacolare arco di red enzione del MMORPG Final Fantasy XIV, si è speso in prima persona in numerosi incontri con membri della stampa e influencer di tutto il mondo, che hanno potuto provare in anteprima l’ultimo titolo Square Enix in diverse occasioni. E il focus sull’accessibilità del titolo anche a utenti non esperti della serie è stato subito evidente: è stata presto pubblicizzata la scelta di offrire ai giocatori, fin dall’inizio del gioco, un terzetto di oggetti equipaggiabili per facilitare lo svolgimento delle combo di attacchi del protagonista, per facilitare il ripristino della barra della salute e per garantire schivate perfette quasi in ogni occasione. Una modalità facile senza chiamarla in questo modo, insomma, inserita in un quadro che già di per sé semplifica, e di molto, la struttura tradizionalmente complessa dei giochi di ruolo appartenenti alla saga di Final Fantasy.

L’ultimo capitolo, presentato come «il primo action RPG vero e proprio della serie principale» sul sito dedicato, presenta un comparto ruolistico minimale e segna un netto distacco rispetto al passato. Nulla a che vedere con la complessa sferografia di Final Fantasy X, per intenderci: le statistiche del protagonista Clive Rosfield aumenteranno automaticamente a ogni passaggio di livello, senza possibilità di scelte relative al suo sviluppo da parte del giocatore. Più «aperta» la sezione dedicata alle abilità degli Eikon, comunque segnata da una volontà di evitare frustrazione e pentimenti da parte degli utenti: con la pressione di un tasto sarà sempre possibile dimenticare le abilità acquisite e recuperare i punti spesi, tornando con facilità sui propri passi per percorrere una strada diversa.

Non che Final Fantasy XVI sia mai pensato per mettere il videogiocatore all’angolo. In caso di game over nel corso di una delle battaglie contro i boss, si potrà ripartire dall’inizio dell’ultima fase raggiunta con un maggior numero di oggetti curativi.

Del tutto assenti, poi, le epiche sfide che avevano caratterizzato la saga in passato: Der Richter nel già menzionato Final Fantasy X, o Yiazmat in Final Fantasy XII. Dal punto di vista geografico, si avverte la mancanza di aree segrete da esplorare; il mondo di Valisthea risulta funzionale esclusivamente alla storia principale. Queste ultime costituiscono forse il punto più debole dell’intera produzione da un punto di vista di game design: in larga parte strutturate come fetch quest (raccogli una richiesta, recupera l’oggetto e riportalo da chi ha assegnato la missione), tipologia fin troppo abusata nell’ambito dei giochi di ruolo, risultano spesso vuote e ripetitive, sorrette da un intento prevalentemente narrativo che riesce a spiccare solo nell’ultimo terzo dell’avventura di Clive.

Riuscirà Square Enix a conseguire il traguardo di vendite che si è prefissata? I dati del mercato giapponese non sono confortanti, con un tracollo delle vendite del 90 % della seconda settimana rispetto alla prima. Suonano profetiche le parole dell’ex Sony Shawn Layden, forte di venticinque anni d’esperienza nella compagnia: già nel 2020 avvertiva sull’insostenibilità del modello di business delle grandi produzioni videoludiche, segnato da un raddoppio dei costi per ogni generazione di console. Solo che l’utenza non cresce di pari passo. Ecco, quindi, le ragioni delle scelte di Square Enix: l’accessibilità non è un regalo ai giocatori, semmai un mezzo di sopravvivenza per la compagnia in un sistema capitalistico che, nell’ambito videoludico, mostra più che mai crepe e contraddizioni.

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