Festival Jazz & Wine of Peace, musiche oltre le barriere nelle dimore storiche
Musica Si è conclusa la ventesima edizione della manifestazione friulana
Musica Si è conclusa la ventesima edizione della manifestazione friulana
Programma ricco e variegato per la ventisettesima edizione del Festiva Jazz & Wine of Peace. Per la precisione va detto che quest’anno la manifestazione si è arricchita della collaborazione con la neonata rassegna italo-slovena Zrcala Meje/Specchi di confine con cui ha incrociato la programmazione. Come da tradizione concerti in ville e dimore storiche, cantine e teatri di quel territorio che va dal Collio friulano a quello sloveno, con il consueto concerto serale a Cormons. Nella prima e nella ultima giornata due concerti di piano solo hanno idealmente fatto da cornice ai ventisei appuntamenti dei cinque intensi giorni del Festival. Il primo ha visto il pianista afroamericano Jason Moran in una performance memorabile. Moran riesce a passare con naturalezza dalla eleganza della ellingtoniana Melancholia a scorribande sulla tastiera di selvaggio astrattismo. Il suo pianismo è ostinatamente postmoderno, con un occhio rivolto al blues e un altro alle strutture della musica ripetitiva. Moran sa essere semplice e profondo, ricercato e popolare. Fa spegnere le luci e getta l’intero teatro al buio in un magma di risonanze gravi, di pura estasi percussiva. Applausi.
IL SET DELLA GIORNATA conclusiva invece ha avuto un profilo diverso. Jamie Saft, noto per le sue frequentazioni alla corte di John Zorn e nel miglior avantjazz ha eseguito un concerto di canzoni. Da Burt Bacharach a Bob Dylan, da Billy Strayhorn a una sorprendente esecuzione di una delle composizioni tarde di John Cage per finire con Ugly Beauty di Thelonious Monk. Per chi ha frequentato il Festival fin dal lontano 1998 questa edizione è stata marcata a fuoco dalla prematura e improvvisa scomparsa lo scorso Giugno dello storico cofondatore del Circolo Controtempo, che organizza questo e altri festival in regione, e direttore artistico Mauro Bardusco.
A lui gli amici del Circolo hanno dedicato commossi ricordi che hanno visto anche l’esecuzione dell’intenso Concerto per Mauro, per organo e tromba nella Abbazia di Corno di Rosazzo. Per l’occasione il friulano Glauco Venier, musicista stabilmente presente nella discografia Ecm, è ritornato ai suoi esordi organistici. Con lui il trombettista Mirko Cisilino per una performance di intensità e commozione a tratti insostenibile come testimoniato dagli occhi lucidi di molti fra il pubblico. Jazz, musica sacra antica, melodie provenzali, arie d’Opera e brani originali di Venier che ha saputo estrarre dall’organo non solo ogni tipo di sonorità proprie ma anche quello che in alcuni momenti è sembrato un respiro umano.
Il piano di Jason Moran, Jamie Saft e il live set del poeta e performer Anthony Joseph
IL RICORDO di Bardusco si è materializzato anche sul palco del Teatro Comunale in un sentito duetto a sorpresa tra la batteria di Hamid Drake e il vibrafono di Pasquale Mirra, incastonato all’interno del tributo a Alice Coltrane «Turiya».
Per dare l’idea del ventaglio stilistico delle proposte fra le quali il pubblico ha potuto scegliere ci limitiamo a citare il giovane trio afrojazz di strumenti a corda con Jali Babou Saho alla kora, Luca Zennaro alla chitarra elettrica e Simone Serafini al contrabbasso e quasi agli antipodi il trio di musica improvvisata del trombonista Samuel Blaser con il batterista Peter Brunn e quel genio del chitarrista Marc Ducret. Nel mezzo il raffinato jazz del vibrafonista Joe Locke, il soul jazz dei Blue Moka, una deludente Camilla George, sassofonista di una new wave britannica ormai incapace di produrre quegli entusiasmanti risultati degli esordi che proprio qui a Cormons si sono potuti ascoltare con ampiezza. Non l’ha deluso invece il poeta, saggista e performer Anthony Joseph. Alla guida del suo nuovo sestetto ha proposto brani dai precedenti album e anticipazioni del prossimo lavoro discografico Black History. Concerto di segno più marcatamente funk rispetto ai precedenti, non sono mancati però richiami all’ethiojazz, al dub, e all’afrobeat. Joseph canta l’orgoglio black, denuncia l’orrore della Storia e della eredità contemporanea coloniale e lo fa danzando. La sua è una musica trionfante.
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