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Fess, il piano è perfetto

Fess, il piano è perfettoProfessor Longhair

Anniversari/Il 19 dicembre New Orleans celebra i cento anni dalla nascita di Professor Longhair La Crescent City omaggia l’influente bluesman, scomparso nel 1981, ricordato anche in un recente cofanetto antologico

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 15 dicembre 2018

«Sai, prendevamo vecchi pianoforti come questo. Perché non riuscivano a ripararli e quindi li abbandonavano in strada. Prima che il camion dei rifiuti li portasse via, noi li trascinavamo nel giardino di casa nostra. È così che ho imparato a riparare i pianoforti. Alcuni pianisti tolgono i martelletti da un piano e li mettono in un altro, altrettanto fanno con il feltro che produce il suono. Se non funzionava, legavo una o tre corde e le portavo dove il meccanismo le faceva suonare. E suonavo… Alcuni tasti funzionavano, altri no. Avere un piano rotto in casa mi ha insegnato molto. Così ho iniziato a fare accordi incrociati. Se un tasto non funzionava non importava: ne trovavo un altro». La spiegazione fila apparentemente semplice e senza intoppi: hai un pianoforte scartato da altri, discretamente malmesso e, con buona probabilità, anche scordato. Oltre a tentare di ripararlo, l’unica soluzione è farlo suonare comunque. Facile, sopratutto se ti chiami Henry Roeland Byrd.

Il quale così si pronunciava in una lunga intervista di novantacinque minuti rilasciata il 28 gennaio 1980, due giorni prima della sua scomparsa. Lo stralcio riportato è rintracciabile in un box celebrativo di recente uscita, dal titolo Fess Up. Si tratta di un doppio dvd, dove oltre l’incontro con Byrd, si trova la ristampa del riuscito video documentario Piano Players Rarely Ever Play Together del 1982, girato dal valente regista Stevenson J. Palfi. A compendio del tutto anche un corposo e dettagliato booklet. Il lavoro svolto dal regista mette a confronto tre generazioni di pianisti provenienti da New Orleans, l’uno maestro dell’altro: Isidore «Tuts» Washington, Professor Longhair e Allen Toussaint. L’intreccio delle relazioni artistiche e umane tra i tre è estremamente interessante, anche e soprattutto in fase di conduzione musicale, come si evince dall’osservazione in contemporanea di alcune esecuzioni. Dimostrazione ne è una effervescente versione del traditional Pinetop’s Boogie Woogie. Non a caso, Byrd è il punto di riferimento. Con assoluta naturalezza gestisce al meglio le dinamiche con i suoi colleghi musicisti: questione di carisma e ovviamente, di talento. Due caratteri distintivi che hanno permesso a Fess (uno dei nomignoli con cui era conosciuto al tempo) di diventare iconografico per New Orleans ben prima della sua scomparsa.

EVENTI

La città già da tempo ha iniziato una lunga serie di eventi culturali volti a celebrarne il profilo, e il tutto raggiungerà l’apice il prossimo 19 dicembre, in occasione del centenario della nascita. Longhair, originario di Bogalusa, giunse nella Crescent City a due anni seguendo la famiglia. In casa di musica se ne respirava, soprattutto grazie alla madre polistrumentista in diversi spettacoli dell’epoca e, sempre seguendo le sue parole, iniziò a mettere le mani sui tasti avorio dei pianoforti scalcagnati che giungevano nel cortile di casa. Da ragazzo come parecchi dei suoi coetanei, Fess si dilettò ripetutamente con il tip tap, diventando noto con il soprannome di «Whirlaway». Le cose si sarebbero però fatte velocemente più serie proprio grazie a «Tuts» Washington, il quale dopo aver scoperto che l’ancora minorenne Byrd si intrufolava di nascosto nel Cotton Club su Rampart Street per andare ad ascoltarlo, lo prese nella sua band come batterista. Fu il primo approccio concreto alla musica che da quel momento in poi divenne progressivamente sempre più parte integrante della sua vita.

Il giovane Byrd era nel pieno della formazione artistica, al punto tale che ammise che gli anni trascorsi nei Civilian Conservation Corps, leva obbligatoria destinata a fini lavorativi di pubblico dominio dove entrò ripetutamente in contatto con musicisti ispanici e giamaicani, lo influenzò in modo significativo. A quel periodo si deve la sua sensibilità ai ritmi afro-caraibici, al calypso e alla rumba, che hanno ulteriormente arricchito la cifra stilistica del suo tipico piano «barrelhouse». L’esempio migliore in tal senso si ha in Longhair’s Blues-Rhumba, registrazione del 1949 rintracciabile nella sua prima uscita discografica su long playing, New Orleans Piano, in realtà una raccolta di precedenti incisioni, per conto della Atlantic nel1972.

Nel mezzo, dagli anni Cinquanta fino agli inizi dei Settanta, Byrd ha vissuto un periodo di alti e bassi. Dopo aver ricevuto il soprannome di «Longhair» per via della sua lunga chioma dal titolare del club Caledonia di New Orleans, dove si esibiva regolarmente con la sua band di capelloni The Four Hairs – di cui era effettivamente il «Professor», ovverosia il capo -, pian piano si consolida come importante musicista locale, ma senza sfondare ulteriormente. Ciò lo porta nel 1964 a un ritiro dalle scene fino al 1971, quando senza rendersene conto all’età di cinquantatré anni, stava per giungere l’occasione della vita.

La polverosa e quasi dimenticata figura del mirabolante pianista, capace di incendiare le notti di New Orleans con il suo blues caraibico, tradizionale e contemporaneo al tempo stesso, viene esposta a nuova luce. Il Longhair che per sbarcare il lunario si era dedicato a lavori di pulizia e bassa manovalanza, tra l’altro in un negozio di dischi di Rampart Street, viene riportato in auge. Il merito è di Quint Davis e Allison Miner, tra i fondatori del Jazz Fest, che diventerà il vero snodo della carriera di Byrd. La sua partecipazione, leggendaria, alla seconda edizione del New Orleans Jazz & Heritage Festival, lo consacra definitivamente. Da quel momento in poi sarà il musicista chiamato a chiudere il festival ogni anno e con un progressivo impegno discografico, il suo nome diventerà di portata nazionale e internazionale. Canzoni come Mardi Gras in New Orleans, She Walks Right In, Mess Around, Go to Mardi Gras, Jambalaya e Tipitina, divengono imprescindibili punti di riferimento, non solo per il pubblico statunitense, ma anche per quello europeo.

FASCINO

Fess ha fascino e magnetismo in abbondanza: rimangono colpiti da lui anche i giovani rocker del vecchio continente, che viaggiano per omaggiarlo appositamente nella sua città. I Led Zeppelin bramano di incontrarlo per poter scattare una foto assieme, Paul McCartney addirittura lo invita a suonare per lui nel 1975 per una festa privata. Quel concerto diventerà l’album Live on the Queen Mary del 1978 e va rammentato che inizialmente Longhair non avesse idea di chi fosse quell’esuberante inglese.

Nel frattempo neanche considerevoli disgrazie come l’incendio che distrusse completamente la sua abitazione, riuscirono a fermarne l’impeto compositivo. Supportato da famiglia ed entourage, con Allison Miner in veste di manager, prosegue nel suo percorso artistico fino alla morte avvenuta il 30 gennaio 1980, giorno in cui esce il suo ultimo lavoro da studio Crawfish Fiesta, disco che prevedeva come tour promozionale l’apertura ai concerti dei Clash.

Una abnegazione totale alla professione del musicista quella di Longhair, al contempo consapevole di come il lavoro di squadra potesse alla lunga ripagare, esattamente come sul palco. Lo conferma anche Pat Byrd, la figlia del pianista, che ai nostri microfoni così rammenta il genitore: «Mio padre credeva che se vuoi qualcosa per te nella vita, la puoi ottenere soltanto con il duro lavoro e superando i tanti ostacoli che si incontrano. Realisticamente, non perse mai la speranza di tornare dopo il suo ritiro iniziale. E fu felice di riuscire in questo, sia per la nostra famiglia, che per quella acquisita, ovverosia per la band. Considerava i suoi musicisti come figli e si ergeva come una figura paterna quando era necessario».

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