Fermezza Ue ma mano tesa della Corte di Giustizia
Brexit Theresa May vuole tornare a Bruxelles per ridiscutere l'accordo di divorzio. Ma per la Ue è «il solo e l'unico possibile». La Corte di Giustizia Ue concede a Londra la possibilità di «revocare unilateralmente» il ricorso all'articolo 50, senza attendere il parere dei 27. Cioè permette a Londra di fermare tutto (ma senza aspettare troppo, per non interferire con le elezioni europee)
Brexit Theresa May vuole tornare a Bruxelles per ridiscutere l'accordo di divorzio. Ma per la Ue è «il solo e l'unico possibile». La Corte di Giustizia Ue concede a Londra la possibilità di «revocare unilateralmente» il ricorso all'articolo 50, senza attendere il parere dei 27. Cioè permette a Londra di fermare tutto (ma senza aspettare troppo, per non interferire con le elezioni europee)
Di fronte alle convulsioni del governo britannico sulla Brexit e alle difficoltà di Theresa May, che ieri in parlamento ha annunciato di voler tornare a Bruxelles per ridiscutere l’accordo di divorzio, gli europei mantengono la calma, tendono la mano ma restano fermi sui contenuti del testo. Si preparano, dopo aver già dedicato un summit speciale alla Brexit il 25 novembre scorso, a concentrare sul problema un altro Consiglio, il 13 e 14 dicembre. La Ue da un lato ieri ha teso la mano a Londra e dall’altro ha ribadito che le linee stabilite dall’accordo di divorzio di quasi 600 pagine e dalla Dichiarazione politica di novembre non si muoveranno.
La mano tesa è la decisione della Corte di Giustizia europea, che ha confermato il parere della sua avvocatura della scorsa settimana: «La Gran Bretagna è libera di revocare unilateralmente la notificazione di ritirarsi dalla Ue», cioè può, se lo vuole, annullare l’articolo 50, quello che permette l’uscita dalla Ue, senza ottenere il parere favorevole dei 27. In altri termini, la Corte di Giustizia dà al governo britannico la possibilità di fermare tutto. Lascia aperte varie possibilità, anche quella di un eventuale (ma molto improbabile oggi) secondo referendum. Soprattutto, la Ue tende la mano facendo trapelare l’apertura alla possibilità di una richiesta britannica per un’estensione dell’articolo 50 al di là della data fatidica del 29 marzo.
L’unica condizione della Ue è che una decisione venga presa da Londra prima del 29 marzo 2019, per evitare che le tensioni sulla Brexit interferiscano sullo svolgimento delle elezioni europee del 23-26 maggio.
La Ue non cede però sul contenuto dell’accordo di divorzio. Per il negoziatore Ue, Michel Barnier, l’accordo che sta suscitando una levata di scudi a Westminster è «il solo e il migliore possibile, non lo rinegozieremo, questo è chiaro». Barnier aggiunge che «per quanto ci riguarda la Gran Bretagna lascia la Ue il 29 marzo, noi siamo pronti a tutti gli scenari», quindi anche a un «no deal» (vari stati si stanno preparando, a cominciare dalla Francia che sta rafforzando la dogana a Calais).
La Ue non intende riaprire la trattativa, neppure sul testo della Dichiarazione politica, perché teme che tornino sul tappeto le tensioni legate allo statuto di Gibilterra (da parte della Spagna) o quelle sulla pesca (Francia, Belgio, Olanda). Per la Ue, non c’è possibilità di modifica sul punto che è diventato il più controverso dell’accordo, anche se nella campagna per la Brexit non era stato quasi evocato in Gran Bretagna: la questione irlandese. Per la Ue non c’è nessun nuovo negoziato possibile sul backstop per l’Irlanda del Nord, cioè la rete di salvataggio che evita una frontiera “dura” tra le due Irlande (che potrebbe riaccendere la sanguinosa guerra civile durata trent’anni e conclusa con gli accordi del ’98) e che stabilisce che l’Irlanda del Nord resta nel mercato unico e la Gran Bretagna nell’Unione doganale fino a quando non sarà trovata un’intesa definitiva.
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